Occupiamoci di acquisti e non di shopping. Non è solo una premessa terminologica protezionista, la mia. Cresce sempre più la voglia di autentico made in Italy. E lo si vede dalla cura con cui i compratori girano e rigirano la merce tra le mani, in cerca della fatidica etichetta che indichi la provenienza. Meglio comprare meno, ma comprare italiano e di buona qualità.
Cominciamo con i viveri.
Frutta e verdura (guardare la provenienza sull'etichetta). Dolci e dolciumi rigorosamente nostrani dato dato c'è solo l'imbarazzo della scelta. Per il pesce, controllate che il pescato provenga dal Mediterraneo. Olio extravergine: che sia spremuto con olive italiane. Idem per vini di nostra produzione, formaggi e carni. Per queste ultime, meglio ricorrere al macellaio di fiducia che ai soliti supermercati dove la distribuzione delle carni proviene da altri paesi europei.
Frutta e verdura (guardare la provenienza sull'etichetta). Dolci e dolciumi rigorosamente nostrani dato dato c'è solo l'imbarazzo della scelta. Per il pesce, controllate che il pescato provenga dal Mediterraneo. Olio extravergine: che sia spremuto con olive italiane. Idem per vini di nostra produzione, formaggi e carni. Per queste ultime, meglio ricorrere al macellaio di fiducia che ai soliti supermercati dove la distribuzione delle carni proviene da altri paesi europei.
Nell'ambito degli accessori rinunciate alle borsette e alle scarpe fatte altrove, anche se vi sembrano carine. Non durano. Meglio spendere di più, ma avere un buon paio di scarpe italiane.
Per il vestiario è un po' più complessa, la faccenda. Spesso anche le stesse griffe delocalizzano in Cina e firmano come se articolo fosse fatto in Italia. E allora meglio vestirsi con buoni capi italiani, ma non griffati. Camice, cravatte, maglioni, pantaloni e gonne fatte in Italia, ce ne sono ancora di egregia qualità senza bisogno di voler strafare con capi firmati e poco sicuri. Se comprate articoli domestici, vettovaglie o arredamento per la casa rinunciate all'esterofilia che ci ha afflitti per secoli: ne guadagnerete in bellezza, grazia e funzionalità.
Per il vestiario è un po' più complessa, la faccenda. Spesso anche le stesse griffe delocalizzano in Cina e firmano come se articolo fosse fatto in Italia. E allora meglio vestirsi con buoni capi italiani, ma non griffati. Camice, cravatte, maglioni, pantaloni e gonne fatte in Italia, ce ne sono ancora di egregia qualità senza bisogno di voler strafare con capi firmati e poco sicuri. Se comprate articoli domestici, vettovaglie o arredamento per la casa rinunciate all'esterofilia che ci ha afflitti per secoli: ne guadagnerete in bellezza, grazia e funzionalità.
Leggiamo la testimonianza di un imprenditore tessile di Busto Arsizio (VA) a nome Roberto Belloli che si fa portavoce di una controtendenza: quella di valorizzare chi sceglie di rimanere nel nostro paese e non delocalizzare altrove, nell'articolo di Marcello Foa apparso su Il Giornale del 21 novembre:
"Oggi bisogna distinguere chi produce davvero in Italia e chi invece, pur avendo un marchio italiano, confeziona tutto o quasi all'estero. Noi chiediamo che solo i primi possano esibire il marchio Made in Italy, ma le grandi griffes della moda, che hanno dislocato le fabbriche in Cina o in Vietnam, non ci sentono e infatti stanno ostacolando la legge con una lobbing pressante sia sul mondo politico che sulle associazioni degli industriali. Gli interessi ormai sono divergenti. Mi chiedo: Confindustria difende noi o loro?"
E ancora: "Stiamo uccidendo la nostra ricchezza in nome di una globalizzazione che non ci ha portato alcun vantaggio e che sta favorendo solo l'Estremo Oriente», spiega. Cita l'esempio del marchio Burberry. «Ognuno di noi pensa che sia inglese. E invece è di proprietà cinese e naturalmente produce tutto in Cina». E così descrive un paradosso che riguarda tutto il mondo della moda, anche quella italiana. Nei negozi vengono messi in vendita capi, ad esempio jeans di lusso, a 120 euro. «Il costo reale di produzione è otto», precisa. E se fosse stato fabbricato in Italia?, gli chiedo. «Circa 12 euro e peraltro di qualità superiore». La differenza non è abissale, eppure la delocalizzazione continua...
«Per anni ci hanno detto che la globalizzazione portava benefici ai consumatori, ma io vedo solo svantaggi: i prezzi al dettaglio continuano a essere alti, mentre molte aziende italiane sono state costrette a chiudere, in nome di un processo che arricchisce solo le grandi multinazionali, che aumentano all'estremo i margini strozzando i fornitori, e i top manager che incassano bonus sempre più ricchi. Ci stanno spolpando: la qualità dei prodotti non migliora, anzi spesso peggiora, la vita resta cara, ma intanto perdiamo posti di lavoro. Andando avanti di questo passo cosa rimarrà del nostro Paese?».
Credo che se proprio dovremo alleggerirci un po' delle nostre agognate tredicesime, allora è meglio lasciare i quattrini...in famiglia. Cioè in Italia.
Credo che se proprio dovremo alleggerirci un po' delle nostre agognate tredicesime, allora è meglio lasciare i quattrini...in famiglia. Cioè in Italia.