Una volta chiesero al grande produttore Dino De Laurentiis, perché mai fosse andato a lavorare in America disertando il nostro paese. "Perchè è l'unico stato dove non è necessario essere di sinistra per venir considerati intelligenti". Risposta lapidaria, ma meritevole di qualche considerazione. Ogni qualvolta salta fuori una gracile operina malapena accettabile, da 6 e mezzo per intenderci, sul genere di "Pane e tulipani " di Silvio Soldini (fratello del famoso velista), ecco un'orda di criticonzoli affannarsi a scrivere di rinascita del cinema italiano. Ma quale? Poi arriva "Agata e la tempesta" (parlo sempre di Soldini), che ne è il continuum, e allora tutto rientra a più modeste proporzioni. A dire la verità, nemmeno in altri paesi stranieri il cinema se la passa poi così bene. Ma almeno negli USA uno o due buoni film all'anno, in grado di incrementare l'industria cinematografica, sono capaci di sfornarli. E se proprio manca il cinema d'autore, lo si sopperisce con un dignitoso film di "intrattenimento" di buona confezione. Da noi invece, si ulula sempre al miracolo italiano ma poi è la solita montagna che partorisce il topolino. Il cinema del dopoguerra con registi impegnati politicamente a sinistra (Rossellini, De Sica, Visconti ecc) ha attraversato stagioni fortunate. Ma fin qui, il mezzo era esplicitamente al servizio dei fini ideologici, chiaramente dalla parte dei vincitori. Con ciò, nulla si vuole togliere alla levatura di certi registi e di alcuni ottimi film.
Tuttavia, illuminante, a proposito dell'intruppamento di parte, è stata un'intervista di Franco Zeffirelli ad Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera, dove ammise esplicitamente che molti di quei registi suoi colleghi (tra i quali lo stesso De Sica e Visconti) non erano più comunisti di suo zio l'arciprete, ma che dovettero "spargere il sale" come fecero i cristiani per non venire uccisi ai tempi della Roma imperiale; ovvero fingere d' esserlo per poter lavorare e guadagnarsi prestigio e credibilità nell'ambiente. Di Luchino Visconti, grande decadente nonché aristocratico d' antica famiglia lombarda, si racconta che licenziò in tronco un suo cameriere per essersi dimenticato di spazzolare il suo gatto persiano. "Non che avesse fatto male" - sogghignò con humour Zeffirelli - "ma che c'entra tutto ciò col comunismo?".
Già che c'entra? Siamo al paradosso di De Laurentiis, quello che lo costrinse riparare negli States. E allora a tutti quelli che non fuggono, non resta che fingersi di sinistra pur di essere considerati intelligenti. E di poter lavorare in santa pace.
Andiamo avanti con il boom, il miracolo economico, e con questo, la stagione d'oro della commedia all'italiana. Quella che castigat ridendo mores. Con Pietro Germi, Dino Risi, Mario Monicelli, Luigi Comencini, Luigi Zampa, Franco Brusati, Ettore Scola ecc. Ed eccoci fotografati con cattiveria, un po' di cinismo e di umorismo corrosivo nei nostri difetti, nelle nostre cialtronerie, nelle nostre pigrizie, nei vizi privati e nelle pubbliche ipocrisie. Perfino nelle nostre pateticità ( "Divorzio all'italiana", "Il sorpasso", "I mostri", "I soliti ignoti", "Amici miei", "L' Armata Brancaleone", "Tutti a casa", "C'eravamo tanto amati", "La terrazza" ecc.). In sottofondo, alcuni irregolari come Antonio Pietrangeli, Mauro Bolognini, Valerio Zurlini, Ermanno Olmi, pittori intimisti e discreti della provincia e della nostra letteratura ( "Io la conoscevo bene" di Pietrangeli, "Senilità" di Bolognini; "La ragazza con la valigia" e "Cronache familiari" di Zurlini, "Il posto" di Olmi). Il tutto, mentre i tre grandi maestri Fellini, Visconti e De Sica seguitavano a diffondere per il mondo prodotti artistici di egregia qualità. Fu una stagione molto feconda, felice e di notevole impulso creativo, che fece apprezzare il nostro cinema nel mondo, anche grazie ad attori fuoriclasse come Gassman, Tognazzi, Mastroianni, Manfredi, Giannini, Claudia Cardinale, la Loren, la Sandrelli. Ma oggi? Chi ne raccoglie l'eredità?
Carlo Verdone fa commediole ridanciane, ma seriali. Nemmeno lontanamente paragonabili a quelle citate. Nanni Moretti si guarda troppo l'ombelico sentendosi supremamente intelligente e non perdendo l'occasione per farlo capire ai più, secondo i codici del sinistra-pensiero già denunciati da De Laurentiis. Ciò che non vuol dire esserlo. La battuta folgorante su di lui, l'ha fatta Dino Risi allorché le chiesero alla mostra cinematografica di Venezia, cosa ne pensasse dei suoi film.
"Quando guardo recitare Nanni Moretti mi viene voglia di dirgli:"Fatti più in là che voglio vedere il film"". Non si poteva pensare a qualcosa di migliore per indicare il conclamato narcisismo e la presupponenza dell'ingombrante personaggio autore di filmetti politicamente minimalisti e infarciti di luoghi comuni sinistresi: manca proprio l'ossatura del film e la sua trama. In effetti ciò che è carente nel nuovo cinema (per nulla Paradiso, nonostante Tornatore) dei nostri tempi è una buona scrittura alle spalle.Cioè buoni soggetti e valide sceneggiature. Marco Tullio Giordana e la sua "Meglio gioventù" è un'operazione nostalgica, giustificazionista e assolutoria, di una parte della storia del nostro paese. Ovvero l'impossibilità per gli italiani, di prescindere dal '68 e di esserne in qualche misura, prigionieri .
Roberto Benigni che in alcuni film ha diretto se stesso, sembra il Jolly Joker delle carte: ha sempre la bocca aperta e ride, lui per primo, delle sue stesse gags. Il che non vuole dire far ridere necessariamente gli altri. "La vita è bella" è un flebile filmuccio supportato da un'abile operazione di marketing e non hanno torto gli ebrei nell'averlo criticato per aver banalizzato la shoah riducendola a una grottesca operetta comica. Ora sta uscendo nelle sale cinematografiche il suo ultimo film "La Tigre e la Neve". Non so se andrò a vederlo, solo per avere poi la soddisfazione (invero assai magra) di parlarne male. Sarei masochista. Pertanto azzardo una stroncatura preventiva , quasi certa di non sbagliarmi. Quasi, con beneficio di inventario.
L'idea di parlare del piccolo omino della strada che filtra la caotica realtà dei nostri tempi con occhio poetico e ingenuo (già visibile ne "La vita è bella") non è nuova, ma di chapliniana memoria. E' solo che Benigni non è Chaplin e l'età dell'innocenza nel cinema è finita da un pezzo. Benigni non è affatto quel naif stralunato che vuol farsi passare, ma un furbo contadino, scarpa vecchia e cervello fino. Sa bene che se parlasse troppo male degli americani, si taglierebbe fuori da una cospicua fetta di mercato economico. Perciò ha trovato l'escamotage di mostrare le forze "d'occupazione" senza dirlo. Con un abile espediente di semantica filmica li ha fotografati come dei "non liberatori", contrariamente a "La vita è bella" dove li ha coccolati. Però poi strizza l'occhiolino all'attualità, con la morte di Nicola Calipari. Non rinuncia allo striscione salvifico arcobaleno, quale demiurgo di una pace universale a lungo invocata. Ma soprattutto continua a fare i soliti saltelli da zompariello ammiccante e a ridere da un orecchio all'altro come il Jolly Joker. Smile? Massì, sorridi pure, dato che nel Benigni-pensiero la vita è mediocremente bella perfino in Iraq in mezzo agli uomini-bomba (resistenti?). Basta essere accanto alla moglie Nicoletta Brasca, attrice di modestissime doti espressive. Eppure voglio proprio vedere quali fiumi di oro, incenso e mirra verseranno i critici più ciambellani e lacché dei nostri mass media, non appena dal 14 p.v. verrà proiettato nelle sale cinematografiche. Il solito Mereghetti lo metterà nella sua enciclopedia del cinema con almeno tre palle di voto.°°°
Che cosa manca al nostro cinema per risorgere? Idee nuove, creatività, entusiasmo, talenti, schiere di buoni sceneggiatori, spirito d' iniziativa e d'équipe. In altri termini, il coraggio di saper fare del cinema lo specchio attento di un'italianità nuova che magari stenta a farsi strada, ma che c'è. Ma soprattutto, manca un'industria dello spettacolo svincolata dalle solite camarille politiche e partitiche, la quale purtroppo, allo stato attuale, elargisce straccamente fondi economici, premi e promozioni ai soliti noti della solita scuderia. Quella "rossa" ovviamente. Dove si punta su bardotti e ronzini, facendoli passare per cavalli di razza.