Si fa, dopo l'intervento russo in Georgia, un gran parlare di "nuova guerra fredda", espressione che tanto piace ai giornali. Ma è realtà? "No", risponde John Glenn in una intervista su Il Giornale del 20 agosto, direttore per la politica estera del German Marshall Fund, "la Russia non ha più ambizioni globali, ma regionali". E allora perchè i nostri TG (in particolare quello di Riotta) mandano in onda documentari di Praga '68 abbinati a immagini dell'attuale conflitto russo-georgiano? Curioso notare poi come la sinistra notoriamente antiamericanista, si sia affrettata a schierarsi con la Georgia e con la Nato, e come Furio Colombo dell'Unità abbia istericamente redarguito Berlusconi per le telefonate all'"amico" Putin. Di converso, gente di comprovata fede atlantica come Cossiga che piazza bandiere americane e israeliane davanti a casa sua, o come Carlo Rossella sostengono che Putin non ha tutti i torti a difendersi ("Cosa direbbero gli americani se un giorno Bolivia, Venezuela ed Ecuador stringessero un patto militare con la Russia a due passi dal loro territorio?"). E del resto non si può certamente dimenticare quel che accade ai tempi in cui furono trovate le installazioni missilistiche con i "consiglieri sovietici" a Cuba durante il governo Kennedy. Come pure la reazione americana (peraltro giustificata) che ne scaturì. Ovvio quindi che i "consiglieri israeliani" trovati in Georgia, non fossero lì per consigliare ricette culinarie.
Errato poi parlare di un "imperialismo zarista" come si è visto scritto. L'imperialismo è la fase matura ("suprema", dicevano i marxisti-leninisti) del capitalismo che abbisogna di espandersi alla ricerca di nuovi mercati, mentre ai tempi dello Zar eravamo in piena società rural-feudale. Semmai è corretto parlare di "nazionalismo granderusso", come ha scritto Alberto Ronchey sul Corriere, che in Russia è stato un inviato per anni. Il quale racconta nel suo pezzo Il Putin bifronte, che in aggiunta alle installazioni Nato, esiste a Oriente della Russia, pure il fenomeno demografico della Cina con un miliardo e trecento milioni di cinesi pronti a tracimare in Siberia nella regione dell'Amur, dove rimane scarsa la popolazione russa. Dunque più che "nuova guerra fredda" Mosca soffre, non senza qualche ragione, di "sindrome da accerchiamento".
E se militarmente e sul campo vincono i russi, nella guerra mediatica essi stessi ammettono che stanno vincendo gli americani, i quali li inchiodano spesso e volentieri al loro recente passato comunista.
Misticismo, spiritualismo e nazionalismo
Ma la Russia è Occidente o Oriente? Europa o Asia? I russi sono nostri soci o nostri rivali? E interesse degli occidentali è respingerli, indebolirli o arrivare a un'intesa?
Durante il periodo zarista la Russia affondava le sue radici in Europa. Ricordiamo che le due Caterine (l e II di Russia) erano di nobili dinastie tedesche. Che a corte si parlava il francese. Chi conosce qualche rudimento di letteratura russa, avrà notato che esiste un nazionalismo mistico e spiritualista in molti suoi grandi scrittori come Dostoevskij, Turgenev; che il poeta Sergeij Esenin era un esaltatore della Madre Rus'.
Il generale Michail Kutuzof che sconfisse Napoleone Bonaparte nella famosa "campagna di Russia" così come ci viene descritto da Tolstoij in "Guerra e pace", parlava della sua terra come della "Santa Madre Russia". Oggi si dice semplicemente "la casa Russia" laddove "casa" sta per "patria" ( è anche il titolo di un famoso best seller di John Le Carré).
Un filone, quello spiritual nazionalista, che arriva fino ai nostri giorni con il grande Alexandr Solzehnitzyn, l'anima profetica della Russia stessa.
Diritti umani o convenienze geostrategiche?
Sono pertanto d'accordo con lo storico francese Max Gallo nel suo lucido pezzo "Le ragioni della Russia" che per capire l'attuale Russia occorre risalire più al XIX secolo, assai più che all'appena trascorso Novecento.
Come pure concordo con lui sul fatto che non si può e non si deve umiliare la Russia con la scusa dell'"esportazione della democrazia" e dei cosiddetti diritti umani. Tanto più che quella dei "diritti umani" si rivela essere sempre più merce da spacciare al "doppio peso" e a corrente alternata, a seconda delle circostanze e delle proprie personali convenienze. Diritti ben poco invocati, ad esempio, quando la Turchia (partner di punta della Nato) bombarda i Curdi in Iraq o fa penetrare il proprio esercito nel Kurdistan.
Per comprendere meglio il crogiuolo di etnie ed enclaves a macchia di leopardo delle ex repubbliche sovietiche, e come già fin dai tempi di Lenin e Stalin si giocasse al risiko e al dividet et impera tra un'etnia e un'altra, leggere il pezzo di Sergio Romano, il quale è stato ambasciatore dell'ex Urss per molto tempo e conosce quella lingua.
Ma anche gli stessi Franco Venturini (art. Il gioco di Putin) , Ronchey nell'articolo su citato, e lo slavista Vittorio Strada, ammettono quel che più modestamente la sottoscritta ebbe a scrivere nel post dedicato al Kosovo in tempi non sospetti: è cioè che la secessione unilaterale di detta regione sottratta alla Serbia avrebbe scatenato l'apertura del vaso di Pandora. Ora con che faccia si chiede a un Putin di rinunciare all'Ossezia dove la sua minoranza è di etnia e lingua russa, quando gli Usa tirarono dritti per la loro strada sul Kosovo "indipendente", seguiti bovinamente dalla Ue? E' quel che dovrebbero ricordare anche i due maitres à ennuyer André Glucksmann e Bernard-Henri Lévy. E chi pratica con disinvoltura la teoria dei diritti umani "d'esportazione" dovrebbe ricordarsi che la Serbia (e Belgrado in particolare) è stata bombardata dalla Nato per 78 giorni consecutivi. E che le bombe non erano così "intelligenti" da non mietere vittime.
Ma aprire un fronte russo non conviene di certo ad un'amministrazione americana a fine mandato. Tanto più che tra Usa e Russia c'è di mezzo il negoziato sul nucleare nord-coreano ed iraniano. E che anche la Russia, come è noto, ha diritto di veto all'ONU come ex potenza vincitrice della II guerra mondiale. Personalmente aderisco all'appello di Benedetto XVI: due popoli cristiani come quello russo e quello georgiano non dovrebbero mai entrare in guerra. Ma grande è il cinismo di chi è stato dietro a questa operazione e alle mosse avventuriste del georgiano Saakashvili.
E l'Italia?
In politica estera contiamo molto poco, quasi nulla. Ma è limitativo credere sempre e solo alla teoria della dipendenza dal gas di Putin, anche se certamente esiste anche quella. Chi, tra amici e conoscenti, è stato a S. Pietroburgo racconta di aver trovato una città splendida che vive l'euforia di un miracolo economico simile a quello che vivevamo noi negli anni '60, con negozi e show-rooms che espongono il made in Italy delle griffes, delle calzature, dell'agroalimentare e dei vini (vini tra i più pregiati delle penisola). Inoltre i turisti russi sono ai primi posti nelle classifiche dei visitatori del nostro Paese, e grandi e proficui sono gli scambi culturali e turistici tra i due paesi. Ecco perché Berlusconi fa dire attraverso la Farnesina che sono per una linea della "fermezza" ma anche dell' "equilibrio". Un modo diplomatico per cavarsi d' impaccio tra "l'amico George" e l'"amico Vladimir". Ovvero, tra l'Aquila e L'Orso.
Errato poi parlare di un "imperialismo zarista" come si è visto scritto. L'imperialismo è la fase matura ("suprema", dicevano i marxisti-leninisti) del capitalismo che abbisogna di espandersi alla ricerca di nuovi mercati, mentre ai tempi dello Zar eravamo in piena società rural-feudale. Semmai è corretto parlare di "nazionalismo granderusso", come ha scritto Alberto Ronchey sul Corriere, che in Russia è stato un inviato per anni. Il quale racconta nel suo pezzo Il Putin bifronte, che in aggiunta alle installazioni Nato, esiste a Oriente della Russia, pure il fenomeno demografico della Cina con un miliardo e trecento milioni di cinesi pronti a tracimare in Siberia nella regione dell'Amur, dove rimane scarsa la popolazione russa. Dunque più che "nuova guerra fredda" Mosca soffre, non senza qualche ragione, di "sindrome da accerchiamento".
E se militarmente e sul campo vincono i russi, nella guerra mediatica essi stessi ammettono che stanno vincendo gli americani, i quali li inchiodano spesso e volentieri al loro recente passato comunista.
Misticismo, spiritualismo e nazionalismo
Ma la Russia è Occidente o Oriente? Europa o Asia? I russi sono nostri soci o nostri rivali? E interesse degli occidentali è respingerli, indebolirli o arrivare a un'intesa?
Durante il periodo zarista la Russia affondava le sue radici in Europa. Ricordiamo che le due Caterine (l e II di Russia) erano di nobili dinastie tedesche. Che a corte si parlava il francese. Chi conosce qualche rudimento di letteratura russa, avrà notato che esiste un nazionalismo mistico e spiritualista in molti suoi grandi scrittori come Dostoevskij, Turgenev; che il poeta Sergeij Esenin era un esaltatore della Madre Rus'.
Il generale Michail Kutuzof che sconfisse Napoleone Bonaparte nella famosa "campagna di Russia" così come ci viene descritto da Tolstoij in "Guerra e pace", parlava della sua terra come della "Santa Madre Russia". Oggi si dice semplicemente "la casa Russia" laddove "casa" sta per "patria" ( è anche il titolo di un famoso best seller di John Le Carré).
Un filone, quello spiritual nazionalista, che arriva fino ai nostri giorni con il grande Alexandr Solzehnitzyn, l'anima profetica della Russia stessa.
Diritti umani o convenienze geostrategiche?
Sono pertanto d'accordo con lo storico francese Max Gallo nel suo lucido pezzo "Le ragioni della Russia" che per capire l'attuale Russia occorre risalire più al XIX secolo, assai più che all'appena trascorso Novecento.
Come pure concordo con lui sul fatto che non si può e non si deve umiliare la Russia con la scusa dell'"esportazione della democrazia" e dei cosiddetti diritti umani. Tanto più che quella dei "diritti umani" si rivela essere sempre più merce da spacciare al "doppio peso" e a corrente alternata, a seconda delle circostanze e delle proprie personali convenienze. Diritti ben poco invocati, ad esempio, quando la Turchia (partner di punta della Nato) bombarda i Curdi in Iraq o fa penetrare il proprio esercito nel Kurdistan.
Per comprendere meglio il crogiuolo di etnie ed enclaves a macchia di leopardo delle ex repubbliche sovietiche, e come già fin dai tempi di Lenin e Stalin si giocasse al risiko e al dividet et impera tra un'etnia e un'altra, leggere il pezzo di Sergio Romano, il quale è stato ambasciatore dell'ex Urss per molto tempo e conosce quella lingua.
Ma anche gli stessi Franco Venturini (art. Il gioco di Putin) , Ronchey nell'articolo su citato, e lo slavista Vittorio Strada, ammettono quel che più modestamente la sottoscritta ebbe a scrivere nel post dedicato al Kosovo in tempi non sospetti: è cioè che la secessione unilaterale di detta regione sottratta alla Serbia avrebbe scatenato l'apertura del vaso di Pandora. Ora con che faccia si chiede a un Putin di rinunciare all'Ossezia dove la sua minoranza è di etnia e lingua russa, quando gli Usa tirarono dritti per la loro strada sul Kosovo "indipendente", seguiti bovinamente dalla Ue? E' quel che dovrebbero ricordare anche i due maitres à ennuyer André Glucksmann e Bernard-Henri Lévy. E chi pratica con disinvoltura la teoria dei diritti umani "d'esportazione" dovrebbe ricordarsi che la Serbia (e Belgrado in particolare) è stata bombardata dalla Nato per 78 giorni consecutivi. E che le bombe non erano così "intelligenti" da non mietere vittime.
Ma aprire un fronte russo non conviene di certo ad un'amministrazione americana a fine mandato. Tanto più che tra Usa e Russia c'è di mezzo il negoziato sul nucleare nord-coreano ed iraniano. E che anche la Russia, come è noto, ha diritto di veto all'ONU come ex potenza vincitrice della II guerra mondiale. Personalmente aderisco all'appello di Benedetto XVI: due popoli cristiani come quello russo e quello georgiano non dovrebbero mai entrare in guerra. Ma grande è il cinismo di chi è stato dietro a questa operazione e alle mosse avventuriste del georgiano Saakashvili.
E l'Italia?
In politica estera contiamo molto poco, quasi nulla. Ma è limitativo credere sempre e solo alla teoria della dipendenza dal gas di Putin, anche se certamente esiste anche quella. Chi, tra amici e conoscenti, è stato a S. Pietroburgo racconta di aver trovato una città splendida che vive l'euforia di un miracolo economico simile a quello che vivevamo noi negli anni '60, con negozi e show-rooms che espongono il made in Italy delle griffes, delle calzature, dell'agroalimentare e dei vini (vini tra i più pregiati delle penisola). Inoltre i turisti russi sono ai primi posti nelle classifiche dei visitatori del nostro Paese, e grandi e proficui sono gli scambi culturali e turistici tra i due paesi. Ecco perché Berlusconi fa dire attraverso la Farnesina che sono per una linea della "fermezza" ma anche dell' "equilibrio". Un modo diplomatico per cavarsi d' impaccio tra "l'amico George" e l'"amico Vladimir". Ovvero, tra l'Aquila e L'Orso.