Attenzione! post inattuale di un personaggio che non ha uguali. Chi vuole l'attualità e le notizie dell'ultima ora, le cerchi altrove. Avevo promesso (e mi ero ripromessa) di tratteggiare un ritratto di Carmelo Bene e di cosa resta della sua eredità artistica e umana. Se stiamo a sentire lui, non resta un bel niente, perché i morti cadono fatalmente nell'oblio. Inoltre tutto preso com'era a parlare del concetto heideggeriano del "non esserci", Carmelo parlava già da trapassato. "Io sono un classico" era solito dire mostrando il volumetto amaranto rilegato in brossura delle sue opere raccolte per Bompiani. Come se il classico già parlasse per lui. Già, Heidegger al posto di Marx, il teatro delle crudeltà di Antonin Artaud, contro il teatro didascalico e marxista di Bertold Brecht, il quale ricorda cento volte che i personaggi sono finti e stanno recitando. Parlo innanzitutto da spettatrice.
Impossibile batterlo in cultura che lui stesso poi strapazzava e faceva a pezzi, mentre i suoi detrattori cercavano ansiosamente di rimetterne insieme i pezzi sparsi. O meglio, le disjecta membra. Oltre all'abbondanza di arcaismi nella resa stilistica, va considerato che la lingua e il linguaggio che usa Bene in questo citato libro (e anche in altre suoi scritti) accentuano un senso ritmico e musicale del dire, al limite della versificazione lirica. Per esempio, di ritorno a Otranto, dopo la parentesi del Teatro Laboratorio, Bene descrive la visione che si spalanca dal balcone della villa dei suoi a Santa Cesarea Terme, la "scogliera e il Mar Ionio pavone d'infinite correnti fatate", che non ha nulla di prosaico e descrittivo. l libro è pervaso da questa aulica prosa ritmica e musicale, che fa spesso immaginare a un poema autobiografico, più che a una mera ufficiale autobiografia (quantunque venata dall'immaginario), sottratto alla convenienza e alla struttura del verso, e forse per questo, più poetico. Non ci sono date, tempi, luoghi. O forse sì, solo luoghi immaginifici come Otranto magica e fatata, lo Jonio, "mare di pavone". E' questo il suo locus amoenus che è il Mediterraneo, che è il "Sud dei santi", come indicava il Meridione e le sue processioni di santi patroni. Che bambino era Carmelo Bene? Un bambino coniugato all'infinito come quel Pinocchio che non diventa mai grande. "L'infanzia è stupore se non hai la disgrazia di nascere in una metropoli", diceva. Un vero pastiche, un po' fiaba, un po' pantomima, un po' dolore di crescere, con tanta riluttanza ad affacciarsi alla vita, sempre così banalmente "quotidiana". Qui, qualche idea nel merito.
https://www.fatamorganaweb.it/pinocchio-secondo-carmelo-bene/
Quel poveretto di Benigni cercò di rifare detta fiaba in un film, scivolando miseramente su una buccia di banana.
Le apparizioni di Carmelo in tv, sempre molto attese, non deludevano mai. Non era un prezzemolista e dosava con cura il suo apparire. Riusciva a debanalizzare perfino il calcio dove era controverso ospite al "Processo del lunedi". Quel furbastro di Maurizio Costanzo credette di fare il Mangiafuoco di un qualsiasi burattino tirando i fili del suo memorabile "Carmelo Bene contro tutti" (1994, 1995): mal gliene colse. Carmelo ne aveva perfino per il presidente della Repubblica, scagliava invettive contro il parlamentarismo, contro la democrazia, contro l'Italiota che corre sempre a votare prendendosela ogni volta nel sottocoda, e naturalmente contro i "gazzettieri" pennivendoli della stampaglia che da allora non ha fatto che peggiorare. Per poco non cadeva giù dal suo panchetto, il Costanzone. Guardatevi qualche puntata del "Carmelo Bene contro tutti" presenti su YouTube e vi divertirete. Franco Citti, attore di pasoliniana memoria, in sala mescolato tra il pubblico, temette di venir scambiato per un giornalista. "Franco Citti, ti riconosco, non sono ancora rincoglionito, certo che non sei un giornalista". "Tu fosti un nobile Accattone".
Uno studente, forse per ingraziarselo, gli ricordò che senza Carmelo Bene, non avrebbe mai potuto esistere Sgarbi, pensando di fargli un complimento. "Ognuno ha gli aborti che si merita", è stata la sprezzante risposta.
Qui, alcuni dei suoi memorabili epigrammi ed aforismi ricavati dai suoi incontri.
Democrazia. Nelle aristocrazie il principe non si fa eleggere, è lui che elegge il suo
popolo. In democrazia il popolo è bastonato su mandato del popolo. È la
pratica certosina dell'autoinganno. Si dice che il trenta per cento sia
astensionismo. Nego, tutto è astensionismo. Sono comunque voti sprecati.
Arte. Ci sono cose che devono restare inedite per le masse anche se editate. Pound o Kafka diffusi su Internet non diventano più accessibili, al contrario. Quando l'arte era ancora un fenomeno estetico, la sua destinazione era per i privati. Un Velazquez, solo un principe poteva ammirarlo. Da quando è per le plebi, l'arte è diventata decorativa, consolatoria. L'abuso d'informazione dilata l'ignoranza con l'illusione di azzerarla. Del resto anche il facile accesso alla carne ha degradato il sesso.
Nascita e morte. Si nasce e si muore soli, che è già un eccesso di compagnia.