Assistiamo sempre più attoniti a un fatto del tutto nuovo nelle campagne pubblicitarie: invece di aver a cuore la vendita del prodotto secondo l'antico motto "la pubblicità è l'anima del commercio", la pubblicità del nuovo mercatismo nell'era della "fine del lavoro" si preoccupa soprattutto di veicolare dottrine ideologiche. Chiamarle "finestre di Overton", è far loro un complimento, dato che quello che un tempo era subdolamente allusivo, ora è tutto esplicito e messo bene in evidenza. Andiamo con ordine. Lego Group da tempo si impegna per costruire un ambiente di lavoro " inclusivo". Non possono mancare quindi le "costruzioni Lego gay friendly" arcobalenate. Non parliamo poi della Disney con Topolino e Minnie rispettivamente con calzoncini e gonnelline arcobaleno. Per non dire dei numerosi messaggi LGBT+ in molti cartoon. La Chicco conta su due madri evidentemente lesbiche che accudiscono il loro bebé mettendo bene in evidenza il marchio dei suoi prodotti. Se la politica si è divisa sul ddl Zan, molte aziende si portano avanti comunque, schierandosi e facendosi pubblicità con campagne che sono inni alla cosiddetta "inclusione". Basta vedere anche la Barilla con la sua collezione di spaghetti N 5, che con illustrazione lesbo della designer Olimpia Zagnoli segnalava un punto di svolta. Sbagliato credere che sia solo per allargare il cosiddetto "fatturato". Anche perché se è vero che di minoranze trattasi, queste non possono spostare cifre così esorbitanti. Il vero fatturato di un'azienda è il suo marchio di qualità, inutile girarci intorno. E' evidente che anziché il brand di qualità, questi vogliono venderti nel loro pacchetto all inclusive, modelli di vita, dottrine e ideologie. E mettersi direttamente al servizio di ONU, Oms, Unicef e vari organismi mondialisti. Del resto è la Barilla stessa che sottolinea con vanto come l’Onu le abbia riconosciuto “alti standard di condotta contro le discriminazioni Lgbt”. Vengo ora a un tasto ancora più dolente: i bambini presi in ostaggio come testimonial per veicolare la pedofilia.
Quando Balenciaga si occupava solo di Haute Couture |
L'ultimo scandalo della Maison Balenciaga, parla chiaro. L'azienda nasce come una prestigiosa casa di moda fondata nel 1917 dallo stilista spagnolo Christobal Balenciaga, ma la Guerra Civile spagnola lo costrinse a lasciare la Spagna per trasferirsi a Parigi. Non pochi furono i suoi allievi di atelier, destinati a diventare a loro volta, illustri firme dell'Alta Moda, come Christian Dior che lo considerò "il maestro di tutti noi", Ungaro e Paco Rabanne. Nel 1968, un periodo in cui la moda andava "democratizzandosi" verso il pret-à-porter, non volle mai adattarsi alla perdita di aura dei suoi splendidi capi, e, ormai molto ricco, decise di chiudere e di ritirarsi da quel mondo. Morì, di lì a poco, nel 1972. Dobbiamo aspettare fino al 1986 quando la Maison fu rilevata da Jacques Bogart che resta in carica fino agli anni '90.
Orsetto con collare e lacci sado-maso di Balenciaga |
Dal 2001 fino ai nostri giorni, la Maison è di proprietà della francese Kering. Ma ora sta commercializzando la sua produzione estendendola a scarpe sportive col marchio italiano Vibram e vari tipi di giocattoli e peluches. Tra i quali quelli sotto accusa in questi giorni come gli orsetti fetish legati al bondage (pratiche sado-maso) finiti nelle mani di bambini, i quali toys hanno sollevato rimostranze nei social. Immediate le scuse della Maison che ritira la campagna pubblicitaria dei prodotti con queste parole: “Abbiamo rimosso la campagna da tutte le nostre piattaforme. Lo zainetto Plush Bear non avrebbe mai dovuto essere ritratto tra le mani di un bambino. Porgiamo le nostre scuse a chi si è sentito offeso”, ha scritto Balenciaga in una storia Instagram. E aggiunge: “Ci scusiamo per aver pubblicato immagini disturbanti. Stiamo prendendo la faccenda seriamente e intraprenderemo un’azione legale contro i responsabili di questo set per aver incluso nella campagna accessori mai approvati. Condanniamo fermamente l’abuso dei minori in qualsiasi forma”.
Sì, però, come spesso avviene sul web, le foto non sono state rimosse e ad una ricerca si vedono ancora. Il dubbio che assale la mente, è chiaro: come mai una svista tanto grossolana ed evidente, in una Maison di primo piano e di così antiche tradizioni?
Un tentativo analogo, dove pare che non ci siano state le stesse scuse di Balenciaga, è avvenuto nel 2018 all'azienda israeliana Nununu , con la collaborazione di Céline Dion quale testimonial, per la presentazione di collezioni di vestiti per bambini con riferimenti simbolici al satanismo e a prese di posizione No gender con lo slogan inquietante: "I nostri figli non sono davvero nostri". Ecco il video: https://www.facebook.com/giorgettistrass/videos/celine-dion-satanista-no-gender-outfit/2119548144776349/. Nel video fa irruzione in un reparto maternità e come una strega, toglie i pigiamini rosa e azzurri ai neonati per mettere loro quelli neri tutti uguali con una scritta inequivocabile: NEW ORDER.
Il mondo No Gender e No Color di Céline Dion. |
Mi pare ovvio che più che vendere prodotti, la loro preoccupazione è che la mente del consumatore debba essere opportunamente plasmata, manipolata e orientata. Gli ostaggi finali di questo processo sono i bambini, come al solito, vittime inconsapevoli di questi disegni perversi.
Prima domenica di Avvento