Il 21 giugno entreremo nel solstizio d'estate con le sue mitiche notti chiare di S.Giovanni. Finalmente è tempo di ritirare negli armadi abiti, pantaloni, giubotti e maglioni dell'interminabile stagione fredda. Gran voglia di indossare indumenti colorati e leggeri, quasi in una necessaria cromoterapia. Avete provato a passare in rassegna il vostro guardaroba per vedere quante belle cose e quanti meravigliosi tessuti indossavamo fino a non molto tempo fa? Puro cotone, seta, lino, canepa, raso, vigogna, pettinati di lana, velluti lisci e a coste. Il tessuto era prodotto in Italia e la fattura dell'abito pure. Potete sincerarvene dalle etichette. Provate invece a vedere ora tutta la fuffa che circola attraverso catene di franchising in negozi di dozzina che spuntano come funghi, ma altrettanto rapidamente chiudono i battenti, per poi riaprire chissà dove. Camiciole, magliette, vestitini e pantaloni che in vetrina sembrano graziosi, ma che dopo qualche mese e qualche lavata sono da gettare nei rifiuti. Insomma, straccetti striminziti che fanno cattiva riuscita.
Esaminate l'etichetta di queste
fuffette: sono tutte made in China, made in Romania, made in Ucraina, made in Shri-Lanka. Colpisce che perfino i costumi da bagno provengano dall'Est. Ne ho appena acquistato uno con una graziosa fantasia, ma con mio sommo disappunto era
made in Ucraina e l'etichetta era ben nascosta. Perciò, occhio, cercatela, snidatela e leggetela l'etichetta, prima di acquistare! Dove sono finite le prestigiose marche italiane di bikini e pezzi interi come la Mitex, Pharah- costumi da bagno? Vecchi tempi gloriosi, si dirà. Sopravvive malapena la Imec, ma a prezzi da capogiro. Per il resto non c'è più nulla di nulla.
Mi trovavo per caso in quel di Como in trasferta e mi sono fermata in una seteria. Como era famosa per il tessile ed era la città di grido dell'alta sartoria. Guardo i prezzi di casacche, camicette e abiti. Poco, penso. Con 53 euro un abitino in seta è davvero poco.
Entro, lo provo e guardo l'etichetta "Styled in Como" c'è scritto. Chiedo conto alla commessa. "Sì, ideato a Como" , mi conferma.
" Ideato lo vedo anch'io. Ma l'indotto dov'è?"
"Se lo immagini un po'", mi dice con onestà.
"Cina? India?".
"Se è in India è ancora fortunata".
"Sa qual è la mia paura?" confido alla commessa, "che questa gente ora pratica prezzi convenienti solo per buttarci fuori mercato. Una volta che si son garantiti la piazza e che avremo perduto anche gli ultimi baluardi di prodotti nostrani, poi alzerà inevitabilmente i prezzi di articoli qualitativamente inferiori ai nostri".
"E' anche la mia, signora, e in parte è già così. La nostra città non è più quella e molti dei migliori negozi sono stati chiusi".
La morale è che non si devono gettare via abiti, cappotti, giacche, camicie solo perché sembrano démodé. In ciascuno di questi capi c'è un po' della nostra storia. Individuale e nazionale. Non ritroverete mai più l'asola di un bottone altrettanto ben rifinita.Non recupereremo mai più lo stesso stile elegante e raffinato con gli stessi tessuti resistenti di ottime fibre. Portateli in lavanderia, rinfrescateli, fateli rammodernare da una sarta, se avete la fortuna di trovarla. Ma non gettateli, perché non troverete facilmente di che rimpiazzarli.
Abbiamo esportato raffinatezza, buon gusto, grazia ed eleganza nel mondo, e in cambio ci costringono a saturare il nostro mercato di
fuffaglia aliena al nostro stile
. E' il
turn over del mercato globale, Baby.
Per far emergere i paesi "emergenti" dobbiamo andare a picco noi: sta già scritto.
Ancora un passo, e saranno gli africani a mandarci gli indumenti attraverso la Caritas con gli appositi raccoglitori dell'Humanitaria. Con il consenso di Confindustria, Confcommercio, Confartigianato e Sindacati che nulla hanno fatto per impedire la delocalizzazione delle nostre aziende, la penetrazione di merce tarocca e farlocca sul nostro mercato, e per salvaguardare le nostre sapienti maestranze. Al contrario, hanno incoraggiato e spinto verso questa desertificazione.
Perciò, comprate di meno, ma comprate e vestite italiano.