Incontrai per la prima volta Enzo Bettiza nel quadro delle manifestazioni legate al Premio Piero Chiara (VA), mentre presentava il suo romanzo "Il Libro perduto" (2005). Enzo Bettiza è stato ed è con Montanelli, Piovene, Parise e Arpino, il fautore e continuatore di quel giornalismo letterario, nel quale la pagina deve essere scritta alla perfezione come fosse un vivido racconto. Insomma il classico giornalista-scrittore o scrittore-giornalista, rara specie in via d'estinzione, a causa di quel mass-mediese veloce e standardizzato che imperversa oggi sui giornali e che Internet ha reso ancor più piattamente omologante. E' assai gradevole ascoltarlo, perché oltre a essere uomo coltissimo che parla molte lingue (è nato a Spalato in un paese cerniera come la Dalmazia) , parla di politica in modo alto e sempre con rinnovata passione civile, attento a tutti gli scenari legati al dopo la caduta del Muro e in particolare all'Est europeo. Quando lo ripresero con le telecamere davanti a Villa Recalcati, antica e nobile dimora settecentesca, oggi sede della Prefettura di Varese, ebbe a dire: "Qui mi sento per davvero a casa mia".
Inserisco questo sua intervista concessa al Corriere ad Aldo Cazzullo, nella quale spiega i motivi del suo voto alla Lega, offrendone una lettura davvero insolita. Bettiza non vota per il Carroccio, in quanto partito ribelle, territoriale e secessionista, ma proprio perché fautore di quell'ordine asburgico che lui, mitteleuropeo di nascita e di cultura, ben conosce e riconosce. Anche se la Lega stessa non ne è ancora del tutto consapevole.
Se sogno la mia balia Mare, sogno in serbocroato. Se sogno le Poljakove, madre e figlia, che mi ospitarono a Mosca quando Giulio De Benedetti mi licenziò dalla Stampa e mi tolse casa, sogno in russo. Se sogno Simone Veil, cui fui molto vicino all'Europarlamento, sogno in francese. Ma se sogno mio padre, sogno in dialetto veneto»
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Enzo Bettiza ricorre a una metafora onirica per confidare al Corriere una cosa che non aveva mai detto: il giornalista più raffinato d'Italia, lo scrittore mitteleuropeo, vota Lega. La Lega di Bossi, con il Carroccio, Alberto da Giussano, lo spadone e tutto. «Ma Pontida è un mito immaginario, come i druidi, i celti e le bevute dell'acqua del Po. La Lega non è figlia della battaglia di Legnano, condotta dai lombardi contro un imperatore germanico. Al contrario: la Lega discende dal Lombardo-Veneto asburgico. Gli antenati di Bossi sono Maria Teresa, Giuseppe II, il lato umano di Radetzky. Il suo antecedente è la buona amministrazione austriaca».
«So che la Lega è stata considerata a lungo buzzurra e folkloristica. E in parte lo era, per necessità politica, per distanziarsi in maniera popolaresca e dialettale dal Sud, per marcare un'identità culturale e antropologica che, spinta all'iperbole, diventava differenziazione etnica. Ma eravamo ai primordi: Roma ladrona, la secessione, il separatismo. Una strada percorsa da altri gruppi regionali in Europa: baschi, catalani, irlandesi, prima ancora i sudtirolesi e anche i bavaresi, che si ritengono uno Stato nello Stato, come il Texas negli Usa. È in questa fase rozza, romantica, pittoresca che la Lega si balocca con riti inventati, zodiacali. Ora la Lega è un partito serio, solidificato. La sua grande forza è la correttezza amministrativa, la cura del Rathaus, il Comune. Detesto la parola "territorio", mi fa venire in mente la mafia. Non esistono partiti territoriali né partiti cosmici. Ora la Lega si insedia a Bologna, penetra negli Appennini, schiera in Toscana un'avanguardia che evoca il Granducato. È un partito nazionale, costruito su grandi temi come l'immigrazione e la difesa delle tasse lombarde, venete, piemontesi. Non a caso i due migliori ministri sono Maroni, uomo della Lega, e Tremonti, che alla Lega è molto vicino. E presto nascerà anche la Lega del Sud». (Continua qui)