I derivati li abbiamo già amaramente sperimentati il 3 gennaio 2012 alla vigilia dell'Epifania con l'insediamento del governo Monti. Tutte le manovre rovinose fatte a pochi mesi del suo insediamento sono finiti lì. Due miliardi e 567 milioni di euro, per l'esattezza, passati dalle casse del Tesoro, direttamente a quelle di Morgan Stanley . Sotto un complice assordante silenzio mediatico, il ministero del Tesoro ha "estinto" una posizione in derivati che aveva con una delle grandi investment bank americane. Tra le poche eccezioni a darne notizia, c'è stato l'Espresso. Ovviamente c'era un problema di immagine per quello che viene comunemente chiamato il "governo dei banchieri": dare 2,567 miliardi a Morgan Stanley mentre si stangano i pensionati, si scaraventano in terra incognita gli esodati espropriandoli dei loro diritti, e si stanziano 50 milioni per la social card non suonava affatto bene e avrebbe palesato la crudele sequenza: dalle banche alle banche. Perciò il popolo ignaro ha pagato senza sapere dove finivano i loro soldi. Ma a quanto pare non basta. Perché anche la nostra IMU di 4 miliardi rastrellati nel dicembre scorso sono finiti nella voragine senza fondo dei derivati i cui nomi (Alexandria e Santorini) e la cui astruseria bislacca ho già spiegato nel post precedente.
Ma non basta. E qualcuno può chiedersi: Piovono altre rane? C'è l'invasione delle locuste? Siamo alle dieci piaghe d'Egitto? Sì,è così.
Ecco cosa scrive il sito Altri Mondi a cura di Giorgio Dell'Arti:
«I derivati degli enti pubblici italiani sono una bomba ad orologeria innescata in ogni angolo della penisola, pronta ad esplodere in qualsiasi momento e a far danni per almeno sei miliardi». Ettore Livini: «Dal Piemonte alla Puglia, da Firenze ad Orvieto da Copparo – provincia di Ferrara – a Chiaramonte Gulfi in Sicilia, decine di amministratori locali reinventatisi Warren Buffett hanno firmato tra 2000 e 2008 (fino al crac Lehman) complicatissimi derivati, convinti di risparmiare sugli interessi del debito. E i loro elettori e cittadini sono costretti oggi a pagare il pedaggio, salatissimo, della loro disinvoltura».
Quantificare i danni potenziali non è semplice. Livini: «Una fotografia minimalista – ma già impietosa – la fa Banca d’Italia: a settembre 2012, 210 enti locali erano esposti con banche italiane su strumenti di finanza creativa per una cifra superiore agli 11 miliardi su cui è maturata una perdita potenziale di 6,2 miliardi. Non proprio noccioline, specie per enti già strozzati dai tagli. Il problema è che la malattia è molto più estesa. Il Tesoro, considerando anche le operazioni con istituti esteri, aveva censito a fine 2009 18 Regioni, 42 Provincie e 603 Comuni soffocate da swap e options per un valore di 35,7 miliardi».
Quantificare i danni potenziali non è semplice. Livini: «Una fotografia minimalista – ma già impietosa – la fa Banca d’Italia: a settembre 2012, 210 enti locali erano esposti con banche italiane su strumenti di finanza creativa per una cifra superiore agli 11 miliardi su cui è maturata una perdita potenziale di 6,2 miliardi. Non proprio noccioline, specie per enti già strozzati dai tagli. Il problema è che la malattia è molto più estesa. Il Tesoro, considerando anche le operazioni con istituti esteri, aveva censito a fine 2009 18 Regioni, 42 Provincie e 603 Comuni soffocate da swap e options per un valore di 35,7 miliardi».
Secondo l’Anci i Comuni con derivati sono circa 800. Livini: «Una “minaccia per la sicurezza nazionale” finita sotto la lente dei nostri 007 con un’informativa ad hoc redatta dall’Agenzia di informazione e sicurezza interna (Aisi) e che ci è costata secondo Eurostat tra 2007 e 2010 ben 4 miliardi di interessi in più sul nostro debito pubblico». È possibile disinnescare questa bomba ad orologeria? La via giudiziaria ha dato risultati alterni: «Orvieto ha fatto causa a Bnl, il Piemonte ha chiesto 168 milioni di danni a Merrill Lynch (con cui ha appena transato) Intesa e Dexia per uno swap su cui rischia di perdere 500 milioni, Acqui Terme ha trascinato in tribunale Unicredit».
Decine di enti locali hanno provato a dribblare le banche appellandosi all’“autotutela”. Livini: «Sospendendo cioè i pagamenti degli interessi per contestare i costi occulti di swap e option nascosti – sostengono – a chi li ha firmati. Peccato che dopo qualche successo le loro speranze si siano arenate su una recente sentenza del Consiglio di Stato corroborata da una consulenza di Bankitalia: non basta questa scusa per sospendere i pagamenti. La strada di maggior successo, almeno fino ad oggi è stata così quella delle transazioni. Palazzo Marino ha fatto da rompighiaccio salvando così il bilancio 2012 di Milano. La Puglia ha chiuso con Merrill Lynch una spinosissima e delicata questione di derivati da 200 milioni».
A 7 anni dal bond trentennale da 1,6 miliardi di euro emesso dall’allora giunta del sindaco di Milano Gabriele Albertini per “ristrutturare” al 2035 i debiti con 4 banche estere, mercoledì il giudice Oscar Magi ha condannato (primo grado) le tedesche Deutsche e Depfa Bank, l’americana Jp Morgan e la svizzera Ubs a un anno senza poter fare affari con la Pubblica Amministrazione, 89 milioni di confisca del profitto lucrato nel 2005 ai danni del Comune, 1 milione a testa di sanzione pecuniaria, 50.000 euro di risarcimento ai consumatori dell’Adusbef. Nove banchieri sono stati condannati per truffa a pene fra i 6 e gli 8 mesi.
I contratti derivati con il Comune di Milano, stipulati all’epoca della Giunta Albertini, vennero rinegoziati (complessivamente ben 6 volte) dalla giunta Moratti, senza una completa informazione sul rischio che le pubbliche amministrazioni si sarebbero accollate, come invece prevede con chiarezza la normativa internazionale in materia, regolata dall’ordinamento inglese disciplinato dal Financial Services and Markets Act del 2000, aggiornato e recepito in Italia con la legge 448 del 2001. Paolo Colonnello: «Vi fu in realtà un conflitto d’interessi da parte degli istituti di credito che vendettero il prodotto derivato fungendo al tempo stesso da “advisor” del Comune».
Quella di mercoledì «è una sentenza molto importante perché finalmente dimostra che le banche hanno raggirato i sindaci. E perché afferma due diritti irrinunciabili: trasparenza e rispetto delle utenze deboli», spiega Graziano Delrio, sindaco di Reggio Emilia e presidente Anci. Ma perché gli enti locali fecero ricorso ai derivati? «Gli interessi concessi dalla Cassa depositi e prestiti per rinegoziare i mutui erano all’8%, mentre le banche offrivano il 2. Molti Comuni decisero di passare al tasso variabile, ma la legge impone un’assicurazione sui rischi perché un sindaco non può fare i bilanci su valori incerti. E dunque scelsero i derivati per coprirsi dalla fluttuazioni del tasso». Non sapevano che era rischioso? «Non ne capirono le implicazioni perché le banche non le spiegarono. L’errore fu anche un altro. Non aver predisposto un regolamento, a livello di ministero dell’Economia, che obbligasse le banche a indicare i rischi, a informare in modo completo».
Il pm Alfredo Robledo ha parlato di «situazione preoccupante» perché nei Comuni manca la figura di un esperto in finanze. Delrio: «Ma come fa un Comune di 4 mila abitanti ad avere un esperto per ogni cosa? I Comuni devono cercare di restare dentro le loro competenze. D’altro canto, chi offre prodotti strutturati deve informare con chiarezza. Lo stesso vale per le assicurazioni che noi sindaci sottoscriviamo un po’ per tutto: alberi che cadono, buche nelle strade. L’ho detto a Bondi: anziché accanirsi sulle biro o sulle siringhe, poteva pensare a centralizzare questi contratti complessi. Uno solo a livello statale».
Secondo le accuse, a Milano le banche elusero la regola che prevedeva condizioni di parità con il comune nel valore delle prestazioni. Colonnello: «Alla stipula dei contratti, doveva essere pari a zero, mentre invece la struttura dei contratti determinava già in partenza un guadagno per le banche di circa 53 milioni di euro, lievitati poi fino a 100. Il pm Robledo, nella sua requisitoria, aveva parlato di “ripetuti raggiri” a danno del Comune, sostenendo che le banche, nel ruolo simultaneo di controparti e consulenti, avessero consapevolmente fatto intravvedere a Palazzo Marino un’inesistente convenienza economica. “Le perizie – aveva spiegato Robledo – hanno dimostrato che in partenza non vi era alcuna convenienza per il Comune, si trattò di un’aggressione alla comunità”».
«L’Italia è stata terra di scorribande, è una sentenza storica» ha detto mercoledì Robledo, preceduto in novembre solo da una class action in Australia di 13 Comuni contro la banca olandese Abn Amro e l’agenzia Standard and Poor’s. «È una questione di vigilanza: in Inghilterra, dove hanno sede le banche incriminate, i contratti sui derivati non si fanno con gli enti pubblici, in Europa invece non hanno avuto limiti». Colonnello: «Ovunque nel mondo venisse riconosciuto che le banche hanno nascosto i veri guadagni generati con la stipula dei contratti derivati e non hanno trattato gli enti pubblici con la dovuta trasparenza e protezioni del sistema, potrebbero scaturire cause e richieste risarcitorie miliardarie. Non a caso, mercoledì pomeriggio, a seguire la sentenza in aula erano presenti le più importanti testate giornalistiche economiche del mondo» (dal sito Altri Mondi).
Ma non basta. Intanto, ai Comuni che già sono in sofferenza per mancanza di trasferimenti di uno stato in via di dismissione, che si dibattono in truffe di titoli spazzatura, non resta che acchiappare i polli cittadini, spennarli e scuoiarli a dovere con un'altra rapina...municipale: la patrimoniale sui rifiuti detta TARES. Ovvero di spazzatura in spazzatura.