Qual era il colore della rivoluzione georgiana? Rosa. E che profumo aveva? Quello delle rose. Che colore aveva la rivoluzione ucraina? Arancione. Che profumo aveva quella libanese? Quello fragrante dei cedri. E quale fragranza, quella tunisina? Di gelsomino. Quella iraniana? Verde. Quella birmana? Amaranto e oro, il colore delle tonache bonze. Ora il Belgio manifesta per le patitine fritte, mentre in Italia è sceso in piazza parecchie volte il popolo viola. Quest'ultimo non ha avuto una gran fortuna (dicono che sia un colore che porti iella) perciò sarà bene che cambi tinta.
S' incendia l'Egitto, con una Hillary Clinton che suggerisce a Mubarak, il suo vecchio "alleato" di sempre, di sgombrare il campo, facendogli capire senza troppi giri di frase che è scoccata la sua ora. Della serie, dai nemici mi guardo io e dagli "amici" (d'Egitto) mi guardi Iddio. Nel caso del vecchio "faraone", Allah.
Si agita pure l'Albania dove sono anni che il polo socialista e quello di centrodestra Berisha (entrambi ex comunisti del vecchio regime di Enver Hoxa) se le danno di santa ragione. Nel 1990 iniziò il passaggio dal regime comunista alla democrazia con un inizio di rivoluzione. Nel 1992 il partito comunista si organizzò nel partito socialista che vinse ma venne accusato di brogli. Nel 1992 nuove elezioni videro vincere i democratici di centro-destra con Sali Berisha Presidente, ma nel gennaio del 1997 l'Albania visse una guerra civile di tre mesi scoppiata a causa del fallimento di un particolare sistema finanziario in cui gli albanesi avevano investito parte dei loro risparmi. Entrambi gli schieramenti, quello socialista e quello democratico, si proclamano filoamericani e fedeli alla Nato, ma questo non impedisce loro di suonarsele di santa ragione. Questa volta però di colori non ce ne sono perché s' invoca il termine post-sovietico "trasparenza" (ricordate la Glasnost gorbacioviana?) . Ora anche la "moderata" Giordania con la sua monarchia ashemita insorge fino a far tremare re Abdallah e la sua splendida regina Rania. E la protesta incendia anche lo Yemen.
Si agita pure l'Albania dove sono anni che il polo socialista e quello di centrodestra Berisha (entrambi ex comunisti del vecchio regime di Enver Hoxa) se le danno di santa ragione. Nel 1990 iniziò il passaggio dal regime comunista alla democrazia con un inizio di rivoluzione. Nel 1992 il partito comunista si organizzò nel partito socialista che vinse ma venne accusato di brogli. Nel 1992 nuove elezioni videro vincere i democratici di centro-destra con Sali Berisha Presidente, ma nel gennaio del 1997 l'Albania visse una guerra civile di tre mesi scoppiata a causa del fallimento di un particolare sistema finanziario in cui gli albanesi avevano investito parte dei loro risparmi. Entrambi gli schieramenti, quello socialista e quello democratico, si proclamano filoamericani e fedeli alla Nato, ma questo non impedisce loro di suonarsele di santa ragione. Questa volta però di colori non ce ne sono perché s' invoca il termine post-sovietico "trasparenza" (ricordate la Glasnost gorbacioviana?) . Ora anche la "moderata" Giordania con la sua monarchia ashemita insorge fino a far tremare re Abdallah e la sua splendida regina Rania. E la protesta incendia anche lo Yemen.
Insomma, sembra di giocare a Strega comanda colore su scala planetaria.
Qualche tempo fa (nel lontano 2007) Milena Gabanelli a Report fece un ottimo reportage su come ti esporto una rivoluzione: un prodotto vero e proprio da poter visualizzare con magliette, palloncini, spille-distintivo, CD, coccarde, drappi e altri gadget. C'è un colore, un logo, una musica, degli slogan. E c'è un'associazione bipartisan statunitense, la Freedom House (casa della libertà) con correlate le varie ong del finanziere "filantropo" Soros, la più importante della quale si chiama Open Society Institute incaricate nel promuovere la rivoluzione in outsourcing.
Ma si dirà: - la Gabanelli è di sinistra. La sottoscritta non va troppo per il sottile in quanto a colori, quando si tratta di accertare i fatti: rosso, bianco o nero, purché il gatto acchiappi i topi e faccia buon reportage. Se un comunista mi dovesse dire che fuori piove e io dopo essermene accertata noto che è vero, allora prendo l'ombrello. Idem se fosse fascista. Veniamo dunque agli ombrelli.
Ecco cosa dice in studio la Gabanelli all'inizio della trasmissione Report:
Nei paesi dell'est europeo da qualche anno sono spuntati dal nulla movimenti studenteschi che ribaltano governi col guanto di velluto. Ma fare le rivoluzioni anche se usi solo il computer costa un sacco di soldi. E' possibile che un gruppo di studenti dell'est, quindi immaginiamo squattrinati come tutti gli studenti, riescano a farne addirittura 4, Ucraina, Serbia, Georgia, Kirghizstan? Sono da soli o c'è qualcuno che li movimenta? L'inchiesta girata in mezzo mondo è di Manon Loizeau.
Ed ecco cosa conclude alla fine della puntata:
Possiamo definirla l'evoluzione della guerra fredda, visto che dietro a questi movimenti c'è sempre una fondazione, una associazione americana, spesso ex militari, e i risultati ottenuti non sono pochi e tutti in paesi satelliti di Mosca. Sono movimenti così temuti che il Cremlino, per contrastarli, è stato istituito un ministero apposta : il ministero della controrivoluzione. Che qualcosa ha fatto perché tutti i finanziamenti stranieri provenienti da associazioni varie organizzazioni non governative. Vedremo se e come hanno inciso questi movimenti a fine anno quando ci saranno le elezioni.
Tutta la puntata qui: http://it.narkive.com/2007/6/4/1304622-chi-ce-dietro-le-equot-rivoluzioni-colorateequot-da-report-rai.html
La morale di questa favola "colorata" è che con i soli Internet, un pc e una tastiera, qualche blog, qualche social forum (facebook, twitter) non si fanno le rivoluzioni per il mondo. Ci vogliono ben altre spinte, coordinamenti e ben altri cervelli organizzativi dietro a chi si agita. Tutto questo, anche se poi i regimi dittatoriali agonizzanti e ridotti agli ultimi giorni della loro sopravvivenza, disattivano i server e i cellulari, quale loro ultima suicida mossa da harakiri. Ma c'è chi disattiva i mezzi di comunicazione, c'è chi disattiva gli stati. Come recita lo slogan pubblicitario I believe in ONE world.