L'anniversario di quel tragico 11/9/2001 al quale ci siamo già assuefatti come ad un effetto speciale di
fanta-horror hollywoodiano (del resto in questi giorni sta per uscire il nuovo film di Oliver Stone sulla tragedia), cade nel cruciale momento in cui un Impero portatore di valori democratici sfida da solo la minaccia iraniana con la sua consueta chiarezza a fronte di un'Europa, al solito, timorosa e balbettante. E non dimentichiamo che i servizi britannici ci hanno di recente risparmiato un nuovo
11 (in questo caso
agosto) dove una
sporca dozzina di aerei avrebbe dovuto esplodere tra Londra e gli USA, permettendoci di tornare al consueto clima vacanziero. E' dura da ammettere, ma il nostro pacifico ed edonistico modo di vivere è capace di rimuovere tutto ciò che lo turba in modo non visibile e la verità è che noi non ci sentiamo in guerra con nessuno, mentre c'è qualcuno che invece si sente in guerra con noi. Noi non odiamo nessuno, ma
laggiù qualcuno ci odia. Anche se per gli americani di quel maledetto
giorno da cani (scusate il mio
slang cinematografico), il "laggiù" è diventato "
lassù". Sopra i suoi grattacieli. Un ronzìo, lo sguardo attonito di un f
irefighter che lavorava intorno a un tombino. Che giorno è? che ora è? che succede? Succede che il giorno
11 settembre del 1683 ci fu
l'assedio di Vienna e un certo condottiero polacco Giovanni Sobieski in sanguinosa e aspra battaglia dove la cristianità (finalmente unita in un solo esercito, cattolici e protestanti), difese strenuamente il proprio territorio, dai predoni del Califfato maomettano. Una vittoria che noi occidentali abbiamo rimosso. Loro, i vinti, invece, se ne ricordano.Non perdonano. E vogliono la rivincita. Cosicché ogni 11 d'ogni mese è sempre quello buono per cercare una feroce rivalsa sui civili, colpevoli di essere "
crociati" ed "
ebrei". Ma come poteva saperlo quel povero pompiere col capello d'ordinanza a larga falda? E come potevamo ricordarcene tutti noi?
Dov'ero quel giorno?! In procinto di uscire di casa per recarmi in banca. Mentre mi preparo, guardo, con futile frivolezza, l'oroscopo del giorno su televideo di Mediaset. E che ti sento? La voce di Fede. Sì , il prode Emilio. Che ci fa questo a quest'ora 'sto scocciatore? - mi chiedo - Mi legge lui l'oroscopo del giorno?
Poi le immagini in sequenza, divenute oramai di repertorio. E la scritta "
America under attack". Siccome due sere prima vidi il film di Tim Burton "
Mars attacks" pensai, lì per lì a uno scherzo mediatico in stile Orson Welles. Subito dopo l'atroce verità: il ronzio, gli arei puntuti come siluri, lo schianto, i roghi, le Twin Towers che si scioglievano come una torta di crema al burro, i fazzoletti bianchi che sventolavano fuori dalle finestre dei grattacieli in segno di resa. E uomini che si lasciavano rotolare giù dall' 80esimo o 50esimo piano come pupazzi scaraventati da una sorte bizzarra e cattiva. E mentre le Torri si disfacevano sotto i miei occhi sbalorditi, mi scioglievo in lacrime anch'io: un inarrestabile pianto convulso. Non capivo, ma piangevo. Piangevo, ma non capivo. Quei dannati aerei m'erano già entrati nel cuore e pure sul tetto di casa mia per sventrarla. Altro che oroscopi!
Cosa c'è di più diverso e lontano da noi di gente disposta a morire per ucciderci? Piloti pronti a schiantarsi pur di fare del male a cittadini inermi, la cui colpa è solo quella di abitare in un'altra parte del mondo, di abbracciare un'altra fede e di trovarsi al lavoro nel luogo sbagliato dell'ora sbagliata?
America che fu il
lost paradise di Pavese con le sue memorabili traduzioni di Moby Dick.
America che fu tra le mie prime letture infantili in "
The call of the wild" (
Il richiamo della foresta di Jack London) .
America che fu
una valigia piena di pazze e colorate americanate di mio padre, il quale mi portava dai suoi viaggi, una bambola con il vestito di Scarlett O'Hara (verde col capellino trattenuto da un nastro di velluto) - bambola con gli occhi verdi di vetro che camminava e faceva no con la testa. Poi, chiassose casacche hawaiiane a fiori che forse nessuno in Italia aveva mai indossato prima di me (o così mi piaceva credere), un impermeabilino di
ciré giallo come quello di Debbie Reynolds in "
Singin' in the rain", mocassini bianchi e neri alla Gene Kelly per emulare un improbabile tip-tap nelle pozzanghere, con le braccia verso il cielo in cerca di una pioggia benefica sul viso. Una di quelle piogge così ottimiste che non ti fanno venire il raffreddore. Di quelle che vorresti incontrare sempre nella vita.
Una valigia piena di novità discografiche di 45 e 33 giri in vinile di R & R e di R&B. Ma anche i
classics indimenticabili di
Cole Porter e
Irving Berlin, con Sinatra e Nat King Cole.
America che fu il primo amore di
Mario Soldati, da me incontrato il
4 luglio (data americana) del '93 a Tellaro di Lerici e che mi raccontò le sue
antimemorie un po' sfocate di vegliardo ottuagenario in fuga dall'oppressione di una madre possessiva nonché dall'oppressione fascista che attanagliava il paese, grazie all'opportunità di una borsa di studio.
L'America di quel suo felice libro (dal quale ho tratto il titolo per questo mio
posting) dove già allora individuò al
Columbia University, nicchie parassite di docenti-burocrati italiani che si fingevano "lettori". Di loro, lo scrittore-regista piemontese ebbe a scrivere che in realtà c'era più "letteratura" e "romanticismo " in un
broker americano di Wall Street il quale mette a rischio tutto se stesso per buscarsi la vita, che in uno di questi funzionari posachiappe in attesa del 27 d'ogni mese. Posachiappe i quali in realtà non si erano mai staccati dal regime mussoliniano, neanche lì, oltreatlantico. Così il giovane Mario, abbandonò, deluso, il Columbia; buttò alle ortiche la borsa di studio e se ne andò a fare lo sguattero lavapiatti in un
fast food ,
inseguendo il fantasma della libertà. Quanto al Columbia University, beh... tutto è stato predisposto per il passaggio dai posachiappe di allora agli attuali posachiappe
radical chic della sinistra salottifera.
America come il simpaticissimo leone della
MGM che ruggendo prometteva sogni e infiniti intrattenimenti.
America come le pin up e le vamp bionde, brune o rosse,
lucky stars hollywoodiane con splendidi abiti e gioelli. E scale, scintillanti scale all'infinito. Da salire e da scendere. L'America degli eroi
rough and
tough (ruvidi e tosti) alla John Wayne e alla Bogart. L'America degli antieroi scontrosi e solitari alla Brando e alla Jimmy Dean. Insomma, tutto questo mondo amato (forse mitizzato e reinventato, ma fa niente), mi si liquefava sotto gli occhi in un
blob incomprensibile. Poi a distanza di qualche giorno, lei, l
'Oriana e il suo urlo. E la tristezza cupa e greve divenne rabbia. E questa, orgoglio. E l'orgoglio, trovò le sue buone ragioni per andare avanti.
Concludo con la superba metafora del
tycoon che ben sintetizza l'A
merican dream. Il grande magnate celebrato nel suo Splendore/Caduta da
F.Scott Fitzgerald, in uno dei più bei finali della storia della letteratura americana.
...e il suo sogno doveva essergli sembrato così vicino. Da non poter sfuggire più. Non sapeva che il sogno era già alle spalle, in quella vasta oscurità dietro la città...Gatsby credeva nella luce verde, il futuro orgiastico che anno per anno indietreggia davanti a noi. C' è sfuggito allora, ma non importa: domani andremo più in fretta, allungheremo di più le braccia e una bella mattina...
Così continuamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato." (da
The Great Gatsby).
America, così pragmatica...così sognatrice. Sento che puoi farcela ancora, nonostante i pavidi eurobabbei. Dopotutto sei tu, il laboratorio del mondo intero.