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02 November 2024

L'intimo legame tra i vivi e i morti




In un tempo infinitamente lontano, il dialogo trai vivi e i morti era cosa ricorrente. Ce ne dà testimonianza Omero nell'Odissea nell'incontro tra Ulisse e i cari estinti nella sua discesa all'Ade, pagina toccante del poema omerico dove incontra la madre, nel Regno delle Ombre. Oggi invece la solennità e commemorazione dei defunti viene semplicemente battezzata col nome generico de "il ponte di Ognissanti", un'occasione per fare viaggi, spostamenti con annessi divertimenti. Ho già trattato in altri post come "Se il riposo non è più eterno" anche il tema della cremazione, consuetudine diffusa negli Usa, che possiamo annoverare una società "mercuriale" e nomade (vedi il saggio "Il secolo ebraico" di Yuri Slezkine), a differenza di quella italiana che è stata a lungo una società stanziale, quindi sempre secondo le categorie di Slezkine "apollinea". Nelle società stanziali l 'estinto fa parte, a buon diritto, del paesaggio dei vivi e, sebbene mediante editto napoleonico i cimiteri fossero stati spostati in aree fuori città, chiunque può raggiungere i luoghi di sepoltura. Ma con la cremazione, ormai accettata anche dalla chiesa cattolica (ma non da quella Ortodossa) si arriva ai paradossi dell'urna cineraria in casa sottraendo il caro estinto al rituale passaggio di amici e parenti, davanti alle sue spoglie. La morte viene così sottratta alla sfera sociale. A proposito di vivi e di morti, come non ricordare le tombe etrusche con affreschi rappresentanti scene di caccia, di vendemmia, di agricoltura a Cerveteri e a Tarquinia, segno tangibile di quanto vita e morte fossero intimamente collegati in uno stesso rassicurante ciclo? Anche la letteratura si è occupata dei morti nel carme di  Ugo Foscolo "I sepolcri" allorché, mediante editto napoleonico del 1804 di Saint Cloud, venne imposto che i cimiteri fossero ubicati oltre le mura della città e le lapidi, tutte uguali e prive di decorazioni. Nella modernità, i  cimiteri di piccoli villaggi americani come Lewistown e Petersburg nell'Illinois ispirarono "L'antologia di Spoon River", di Edgar Lee Masters raccolta di poesie-epitaffio nel quale ogni morto racconta un po' della sua vita personale con assoluta sincerità, poiché non ha più nulla da temere. 
"Il cimitero marino" è un altro poemetto di Paul Valéry nel quale il poeta, nativo di Sète in Languedoc, descrive un piccolo cimitero, posto in vicinanza del mare, dove le tombe, di colore bianco, risplendono fra i cipressi sotto la luce abbacinante del sole che ricava incanti dalla vicina superficie del mare. Alla descrizione visiva, il poeta intercala riflessioni e pensieri sulla vita e sulla morte.  

La "pandemia" impostaci coi metodi che ben sappiamo, ha fatto scempio di questo intimo indissolubile legame tra i vivi e i morti, gettando nella disperazione le famiglie bandite dai capezzali degli ospedali, col rimorso di non poter porgere un ultimo abbraccio, una carezza e conforto ai loro cari, sbarazzandosi dei loro corpi mediante sommarie cremazioni collettive che hanno impedito di fatto le autopsie e la vera ricerche sanitaria, Non bastasse ciò, non sono state in molti casi, garantite vere onoranze funebri in grado di dare dignità e conforto a questo doloroso evento, arrivando a numeri chiusi e volti coperti da maschera. Ma torno alla tradizione italiana dei grandi cimiteri monumentali dove spesso vi si trovano autentiche opere d'arte come nel cimitero di Milano,  opere di valore artistico come edicole funerarie, sculture, statue di grande pregio,  un vero e proprio museo a cielo aperto. Lo stesso dicasi per quello di Staglieno a Genova, per Verona e varie altre città italiane. Con buona pace per i furori rivoluzionari francesi che in nome dell'"uguaglianza" volevano lapidi tutte uguali.
Ma io prediligo i piccoli cimiteri marini della mia Liguria spesso affacciati su falesie a picco sul mare o incastrati su pianori rocciosi. In quello di Manarola (una delle 5 Terre) costruito su stile neoclassico c'è, all'ingresso,  un verso di Cardarelli con grandi caratteri: O APERTI AI VENTI E ALL'ONDE LIGURI CIMITERI! UNA ROSEA TRISTEZZA VI COLORA...

Sono rimasta colpita dalla tomba del grande alpinista Walter Bonatti nel piccolo cimitero di Porto Venere  che ho fotografato, nella foto in alto. Lì per lì credetti che le piogge frequenti vi avessero trascinato cumuli di detriti. In realtà,  erano pietruzze delle montagne, ramponi, piccoli moschettoni, pezzetti di corde e una piccola piccozza appesa alla Croce. Gli alpinisti e rocciatori scendono dai monti al mare e rendono omaggio a un grande delle vette. In più, poco distante esiste il monte Muzzerone, con una parete  a picco sul mare,  già palestra dei rocciatori del corpo speciale Comsubin, parete che Bonatti scalò varie volte, quasi per diletto.  Una testimonianza tangibile che i morti esistono grazie alla  memoria dei vivi, i quali col loro transito terrestre, li ricordano e li onorano.  Ma in questo caso,  anche un trait-d'union paesaggistico ideale tra monti e mari. 

2 novembre commemorazione dei Defunti