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09 October 2005

Il Cinema Italiano e la rinascita che non c'è (con una stroncatura preventiva su Benigni)

Una volta chiesero al grande produttore Dino De Laurentiis, perché mai fosse andato a lavorare in America disertando il nostro paese. "Perchè è l'unico stato dove non è necessario essere di sinistra per venir considerati intelligenti". Risposta lapidaria, ma meritevole di qualche considerazione.
Ogni qualvolta salta fuori una gracile operina malapena accettabile, da 6 e mezzo per intenderci, sul genere di "Pane e tulipani " di Silvio Soldini (fratello del famoso velista), ecco un'orda di criticonzoli affannarsi a scrivere di rinascita del cinema italiano. Ma quale? Poi arriva "Agata e la tempesta" (parlo sempre di Soldini), che ne è il continuum, e allora tutto rientra a più modeste proporzioni. A dire la verità, nemmeno in altri paesi stranieri il cinema se la passa poi così bene. Ma almeno negli USA uno o due buoni film all'anno, in grado di incrementare l'industria cinematografica, sono capaci di sfornarli. E se proprio manca il cinema d'autore, lo si sopperisce con un dignitoso film di "intrattenimento" di buona confezione. Da noi invece, si ulula sempre al miracolo italiano ma poi è la solita montagna che partorisce il topolino. Il cinema del dopoguerra con registi impegnati politicamente a sinistra (Rossellini, De Sica, Visconti ecc) ha attraversato stagioni fortunate. Ma fin qui, il mezzo era esplicitamente al servizio dei fini ideologici, chiaramente dalla parte dei vincitori. Con ciò, nulla si vuole togliere alla levatura di certi registi e di alcuni ottimi film.
Tuttavia, illuminante, a proposito dell'intruppamento di parte, è stata un'intervista di Franco Zeffirelli ad Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera, dove ammise esplicitamente che molti di quei registi suoi colleghi (tra i quali lo stesso De Sica e Visconti) non erano più comunisti di suo zio l'arciprete, ma che dovettero "spargere il sale" come fecero i cristiani per non venire uccisi ai tempi della Roma imperiale; ovvero fingere d' esserlo per poter lavorare e guadagnarsi prestigio e credibilità nell'ambiente. Di Luchino Visconti, grande decadente nonché aristocratico d' antica famiglia lombarda, si racconta che licenziò in tronco un suo cameriere per essersi dimenticato di spazzolare il suo gatto persiano. "Non che avesse fatto male" - sogghignò con humour Zeffirelli - "ma che c'entra tutto ciò col comunismo?".
Già che c'entra? Siamo al paradosso di De Laurentiis, quello che lo costrinse riparare negli States. E allora a tutti quelli che non fuggono, non resta che fingersi di sinistra pur di essere considerati intelligenti. E di poter lavorare in santa pace.
Andiamo avanti con il boom, il miracolo economico, e con questo, la stagione d'oro della commedia all'italiana. Quella che castigat ridendo mores. Con Pietro Germi, Dino Risi, Mario Monicelli, Luigi Comencini, Luigi Zampa, Franco Brusati, Ettore Scola ecc. Ed eccoci fotografati con cattiveria, un po' di cinismo e di umorismo corrosivo nei nostri difetti, nelle nostre cialtronerie, nelle nostre pigrizie, nei vizi privati e nelle pubbliche ipocrisie. Perfino nelle nostre pateticità ( "Divorzio all'italiana", "Il sorpasso", "I mostri", "I soliti ignoti", "Amici miei", "L' Armata Brancaleone", "Tutti a casa", "C'eravamo tanto amati", "La terrazza" ecc.). In sottofondo, alcuni irregolari come Antonio Pietrangeli, Mauro Bolognini, Valerio Zurlini, Ermanno Olmi, pittori intimisti e discreti della provincia e della nostra letteratura ( "Io la conoscevo bene" di Pietrangeli, "Senilità" di Bolognini; "La ragazza con la valigia" e "Cronache familiari" di Zurlini, "Il posto" di Olmi). Il tutto, mentre i tre grandi maestri Fellini, Visconti e De Sica seguitavano a diffondere per il mondo prodotti artistici di egregia qualità. Fu una stagione molto feconda, felice e di notevole impulso creativo, che fece apprezzare il nostro cinema nel mondo, anche grazie ad attori fuoriclasse come Gassman, Tognazzi, Mastroianni, Manfredi, Giannini, Claudia Cardinale, la Loren, la Sandrelli. Ma oggi? Chi ne raccoglie l'eredità?
Carlo Verdone fa commediole ridanciane, ma seriali. Nemmeno lontanamente paragonabili a quelle citate. Nanni Moretti si guarda troppo l'ombelico sentendosi supremamente intelligente e non perdendo l'occasione per farlo capire ai più, secondo i codici del sinistra-pensiero già denunciati da De Laurentiis. Ciò che non vuol dire esserlo. La battuta folgorante su di lui, l'ha fatta Dino Risi allorché le chiesero alla mostra cinematografica di Venezia, cosa ne pensasse dei suoi film.
"Quando guardo recitare Nanni Moretti mi viene voglia di dirgli:"Fatti più in là che voglio vedere il film"". Non si poteva pensare a qualcosa di migliore per indicare il conclamato narcisismo e la presupponenza dell'ingombrante personaggio autore di filmetti politicamente minimalisti e infarciti di luoghi comuni sinistresi: manca proprio l'ossatura del film e la sua trama. In effetti ciò che è carente nel nuovo cinema (per nulla Paradiso, nonostante Tornatore) dei nostri tempi è una buona scrittura alle spalle.Cioè buoni soggetti e valide sceneggiature. Marco Tullio Giordana e la sua "Meglio gioventù" è un'operazione nostalgica, giustificazionista e assolutoria, di una parte della storia del nostro paese. Ovvero l'impossibilità per gli italiani, di prescindere dal '68 e di esserne in qualche misura, prigionieri .
Roberto Benigni che in alcuni film ha diretto se stesso, sembra il Jolly Joker delle carte: ha sempre la bocca aperta e ride, lui per primo, delle sue stesse gags. Il che non vuole dire far ridere necessariamente gli altri. "La vita è bella" è un flebile filmuccio supportato da un'abile operazione di marketing e non hanno torto gli ebrei nell'averlo criticato per aver banalizzato la shoah riducendola a una grottesca operetta comica. Ora sta uscendo nelle sale cinematografiche il suo ultimo film "La Tigre e la Neve". Non so se andrò a vederlo, solo per avere poi la soddisfazione (invero assai magra) di parlarne male. Sarei masochista. Pertanto azzardo una stroncatura preventiva , quasi certa di non sbagliarmi. Quasi, con beneficio di inventario.
L'idea di parlare del piccolo omino della strada che filtra la caotica realtà dei nostri tempi con occhio poetico e ingenuo (già visibile ne "La vita è bella") non è nuova, ma di chapliniana memoria. E' solo che Benigni non è Chaplin e l'età dell'innocenza nel cinema è finita da un pezzo. Benigni non è affatto quel naif stralunato che vuol farsi passare, ma un furbo contadino, scarpa vecchia e cervello fino. Sa bene che se parlasse troppo male degli americani, si taglierebbe fuori da una cospicua fetta di mercato economico. Perciò ha trovato l'escamotage di mostrare le forze "d'occupazione" senza dirlo. Con un abile espediente di semantica filmica li ha fotografati come dei "non liberatori", contrariamente a "La vita è bella" dove li ha coccolati. Però poi strizza l'occhiolino all'attualità, con la morte di Nicola Calipari. Non rinuncia allo striscione salvifico arcobaleno, quale demiurgo di una pace universale a lungo invocata. Ma soprattutto continua a fare i soliti saltelli da zompariello ammiccante e a ridere da un orecchio all'altro come il Jolly Joker. Smile? Massì, sorridi pure, dato che nel Benigni-pensiero la vita è mediocremente bella perfino in Iraq in mezzo agli uomini-bomba (resistenti?). Basta essere accanto alla moglie Nicoletta Brasca, attrice di modestissime doti espressive. Eppure voglio proprio vedere quali fiumi di oro, incenso e mirra verseranno i critici più ciambellani e lacché dei nostri mass media, non appena dal 14 p.v. verrà proiettato nelle sale cinematografiche. Il solito Mereghetti lo metterà nella sua enciclopedia del cinema con almeno tre palle di voto.°°°
Che cosa manca al nostro cinema per risorgere? Idee nuove, creatività, entusiasmo, talenti, schiere di buoni sceneggiatori, spirito d' iniziativa e d'équipe. In altri termini, il coraggio di saper fare del cinema lo specchio attento di un'italianità nuova che magari stenta a farsi strada, ma che c'è. Ma soprattutto, manca un'industria dello spettacolo svincolata dalle solite camarille politiche e partitiche, la quale purtroppo, allo stato attuale, elargisce straccamente fondi economici, premi e promozioni ai soliti noti della solita scuderia. Quella "rossa" ovviamente. Dove si punta su bardotti e ronzini, facendoli passare per cavalli di razza.

46 comments:

Anonymous said...

Cara Nessie, non avresti potuto dare una visione più esatta del cinema italiano recente.Io sono un'appassionata di cinema e sono stanca di vedere i soliti noti prendersi i premi per cose mediocri. Qui passano sovente in televisione "la vita é bella" e altre cose di Benigni,poi "La stanza del figlio" e pure "Caro diario". A Cannes il fronte politico é sempre premiato e pubblicizzato.Non andrò a vedere il prossimo film di Benigni perché non mi va più di essere presa per i fondelli da quell'ometto furbastro.
Poi ho sentito parlare dell'ultimo film di Moretti che sarebbe, oh, che geniale, un film su Berlusconi..
Meglio guardarsi dei bei film americani, evitando magari gli Oliver Stone e i Michael Moore, ma che danno una grande scelta di generi e contenuti.
Comunque, brava per la tua analisi!

Nessie said...

Arma, non sono propriamente una novizia in materia: poppavo film dall'età di 4 anni e ho pure fatto numerose recensioni per i giornali locali a cui collaboravo, nonostante non sia una firma come i critici da te citati.Il cinema è parte integrante della nostra educazione sentimental-culturale, poichè è da considerarsi un'immediata forma di "letteratura popolare". Perfino capace di forgiare modelli e stili di vita. C'è sempre un film che ci rimane nel cuore più di altri. Un po' come avviene per i libri e per le canzoni. Ecco perchè mi spiace di vedere andare a Patrasso il nostro cinema. Perchè è il principale biglietto da visita di un popolo e di una nazione, spedito al mondo. E se ci presentiamo coi Benigni, francamente non andiamo lontano.
Cara Lontana, a Cannes vale la stessa storia che a Venezia: le torte sono già preconfezionate e va avanti la solita "sturmtruppen" de sinistra (come dicono a Roma). Vuoi una prova? Due anni fa c'è stato uno splendido e toccante film di Pupi Avati, "Il cuore altrove". E' forse il film italiano più bello da me visto in questi ultimi 5 anni. Il pubblico si è spellato le mani ad applaudirlo per 10 minuti consecutivi. La giuria lo ignorò e non lo fece vincere. Chissà come mai... Una mia idea ce l'avrei. Pupi Avati è un intimista (sul filone di Zurlini) e non è "de sinistra". Ergo, non sufficientemente "intelligente".

Nessie said...

PS: su Clooney. In effetti è vero quel che dici sul fatto che c'è di meglio. Ma sai com'è, quando le cose non sono molto apprezzate da voi, si viene in Italia, dove si è sempre disposti a mettere giù tappetini rossi a chi è straniero. Immemori di tutti i calci nel posteriore che invece pigliamo noi italiani, quando andiamo all'estero.Eppoi non dimenticare, Arma, che George Clooney ha una villa sul lago qui nel comasco e che i suoi promoter e image makers stanno spingendo molto alla diffusione della sua immagine e popolarità in Italia. Perfino come testimonial nei prodotti pubblicitari(vedi lo spot sul Martini).

Anonymous said...

un cumulo di cazzate...

Nessie said...

Nota al redattore: i commenti anonimi non pertinenti e non documentati non sono graditi. Gli insulti nemmeno. Tanto sappiamo da che pulpito arrivano.

Anonymous said...

D'accordo su tutto, il film non lo guarderò mai e mai lo guarderò come tutti quelli dei sinistri!

Non lo guardero soprattutto perchè già dal promo si vede chi sono i cattovoni, gli "amerikani", e non un minimo accenno ai tagliateste...ma si sa tra lupi non ci si scanna!!!

Lo PseudoSauro said...

Per fortuna che c'e' l'anonimo del cripto-regime che ci illumina. E poi se la prendono con gli "squadristi"... Diciamolo: il cinema europeo, ed italiano in particolare, fa letteralmente vomitare, e' "arte" di regime nella peggiore accezione del termine. Il che non significa che questa sia necessariamente scadente in quanto tale, ma se consideriamo la professionalita' del casting, con l'eccezione di alcuni tecnici internazionali, siamo proprio alla "corrida". Deriva tutto dall'educazione e dal "progresso": una volta si ascoltava Mahler, o nella peggiore delle ipotesi Verdi, si guardava Hitchcock, o Ford, ora, se si vuole ridere ci sono molte alternative: Fo, Benigni e Verdone. E' un disastro culturale di proporzioni cosmiche. Siamo al ormai al sillabario.

Lo PseudoSauro said...

Noi ci affanniamo a fare un excursus di storia dell'arte comparata e poi arriva il "genio" che con una parola taglia il nodo gordiano. "Ipse dixit": non c'e' prova migliore e piu' sprezzante dell'intervento dell'anonimo che difende i vari "premi Nobel" dall'aggressione di pochi ed ottusi fascisti. Armatexon e Lontana sono piu' vicini al nostro cuore di sauro. Anche il Nonno, per motivi intrinseci, e solo se non si parla di PACS. :-)

Nessie said...

Grazie nonno. E' un piacere annoverarti fra i nostri in materia. Stamattina mi è pervenuta l'sms di un mio amico che mi ha lasciato il seguente testo sul cell.:"Cos'hai fatto a parlare di cinema! Ma non sai che quella la considerano loro principale roccaforte e guai a chi gliela tocca?!". Peggio che toccare i fili della corrente ad alta tensione. E pur di non farsela portare via non esitano a prezzolare i vari Ghezzi & bella compagnia di critici violini.

Leibniz Reloaded said...

"Perchè [il cinema] è il principale biglietto da visita di un popolo e di una nazione, spedito al mondo"
Ben detto, perdiana. Ecco chi sono i francesi: "La mia notte con Maude" e "Un cuore in inverno".
Nessuna meraviglia che provochino orchiti in proporzioni pandemiche...

Leibniz Reloaded said...

Comunque il buon vecchio Kripke, altrove noto come Euclide (ciao amico Pseudosauro), soffre tra l'altro di acatisia e dunque non starebbe mai due ore seduto in un cinema.
Anche perché, in tema di film, ha gusti non propriamente chic: basti sapere, ma non si dica troppo in giro, che possiede l'intera raccolta dei vari Fantozzi, Monnezza, Pierino e l'intera filmografia della Edwige Fenech, da molti anni prima che qualche smemorato traduttor dei traduttor d'Omero li riscoprisse come "film di genere". E mi fermo qui per carità di Patria. ;-)

Nessie said...

Apprezzi "Un cuore in inverno" di Sautet? E' un film incantevole! Basato su una novella di Lermontov e ambientato in Francia. Ogni volta che lo vedo, mi dico cosa: costa anche a noi fare dei film così?! Ma niente, qua siamo regrediti all'abecedario, ha ragione il Sauro.

Nessie said...

Diciamo che si alternano a delle "pizze" come dice Sartorius, incomprensibili, a della roba per sillabario come dice il Sauro. O fanno delle elucubrazioni alla Ghezzi o delle emerite banalità.

Lo PseudoSauro said...

Il bello e' che la sinistra "avrebbe" il monopolio della kultura... Proporro' al Gran Consiglio dei Sauri, che verra' indetto alla prossima era, di saurizzare, honoris causa, Lontana, Armatexon, Saul Kripke ed il Nonno per meriti vecchi, inutili ed obsoleti.

Armatexon: io credo di essere "pseudo", aspetta che mi tocco... e se cosi' non fosse, lasciamelo credere, che mi conforta. Quanto all'opera lirica, e' un argomento un po' lunghetto da trattarsi qui. Diciamo che la sacralita' che si attribuisce a questo genere avrebbe molto stupito gli stessi Autori, che erano convinti di fare poco piu' che canzonette; con l'eccezione di Wagner, naturalmente, e della sua Opera d'Arte dell'Avvenire, che e' stato il precursore del cinematografo (checche' ne dicano i nostri colti one-way). In effetti l'ascolto del Wagner, di Bayreuth, e' piu' adatto al colto fruitore di musica sinfonica che al loggionista. La matrice ideologica e mitica insita nella sua opera era cara ai nazionalisti tedeschi, prima che ai nazisti, che costituirono una degenerazione del nazionalismo coniugato con il socialismo. Quindi non dovrebbe essere un tabu' solo perche' Wagner piaceva ad Adolfo; anche Brahms era un nazionalista (pensate allo splendido Deutsche Requiem); che facciamo mettiamo al bando anche lui? Quanto all'operetta, continuo' la tradizione mitteleuropea del singspiel. Va detto che teatro e musica si compenetravano fin dall'antichita' classica; e che non v'era la frattura tra parola e canto cui si assistette dopo l'800. Quindi mentre l'Opera imboccava una via autonoma, l'operetta continuo' la tradizione settecentesca che aveva ancora un'idea delle Tre Unita' perche' alternava recitazione a canto. Sara' meglio approfondire in altra sede.

Saul Kripke: non c'era bisogno di una presentazione ufficiale, ti avevo gia' riconosciuto dal forbito (ed obsoleto) eloquio. Forse Nessie ha inteso che ti piacessero i titoli da te citati... a me pare proprio di no. Se proprio vogliamo portare l'orchite a maturazione proporrei "La Merlettaia". Decisamente dopo l'arte rigorosa della nazista Riefenstahl, che mostro' la potenza del mezzo, contribuendo ad arruolamenti di massa, definire "intimiste" le correnti di cui sopra, sarebbe un'eufemismo... direi che l'unico genere che mostra grande vitalita' (!) e' attualmente, il porno (straniero anche lui, naturalmente).

Nessie said...

Scusate ma su er Monnezza e il porno, non vi seguo. Allora riabilitiamo "Giovannona coscia lunga" con la Fenech, a questo punto.

Anonymous said...

Tempo fa, su un forum sinistrissimo dei girotondi ( ogni tanto io vago nei terreni altrui per confrontarmi) si fece una dotta discussione sull'opera d'arte.Io dissi che se l'opera non é fruibile da tutti, non é vera arte e feci esempi di : linguaggio incomprensibile di Dario Fo, gli orribili mugolìi di Carmelo Bene,i tagli di Fontana ed altro dicendo che io mi sentivo come il popolo inglese che andava a guardare Shakespeare con salciccia e birra. dissi perciò:
E rivendico l'accessibilità a tutti dell'opera d'arte.
Al che mi fu risposto:

perchè è impossibile. L'Arte, capire l'arte intendo, presume una sensibilità che poca gente ha, purtroppo. E non è solo questione di cultura, che aiuta certo ma non totalmente, è proprio una dote naturale, che ad alcuni viene dalla nascita, dei geni, e a molti no. Vedere Shakespeare con la salsiccia e la birra in grembo non vuol dire capire Shakespeare, ma ascoltarne le storie che lui ha raccontato sulle scene. La misura di quel che dico lo danno i film, cioè la forma di arte che sembrerebbe la più facile da capire: presi dal racconto del film la maggior parte delle persone non si rende conto della differenza tra il prodotto artigianalmente ben confezionato e quello artistico. Così si faceva anche ai tempi delle alsicce, della birra e della Giuletta e Romeo di Shakespeare. Difficile capire l'Arte, altrimenti si venderebbero più libri di poesia che non romanzi gialli. E in pittura non ci sarebbero quelli che dicono, davanti a un quadro di Burri o di Tapies: ma cosa vuol dire?"
Riporto questo, ma il discorso fu molto lungo, per dimostrare il fatto che a sinistra siano molto snob e si sentano sempre superiori alla gente dalla cui parte invece,teoricamente, dovrebbero stare.
Il risultato é che producono cose noiose e incomprensibili, ma i critici prezzolati sono sempre pronti a vederci cose mirabilanti.
Ciao!

Leibniz Reloaded said...

Confermo che i film di Romer potrebbero piacere solamente ai cultori del "pensiero debole": per due (o tre, o più) ore, sullo schermo succede Nulla.

Al di là delle facili boutade sulla lentezza e sul minimalismo, cose apprezzabili in "Un cuore in inverno" sono l'amore per la liuteria, presente in quanto evocato in spirito, e la colonna sonora. Ma, soundtrack per soundtrack, a quel punto preferisco "Il pianista", o meglio ancora un paio d'ore di Rachmaninov seguito a ruota da Keith Jarrett (Paris, of course) e magari da "Play Bach" (si vede tanto il fil rouge tra classica e jazz ?).

Però, dato che quando i francesi devono pensare a qualcosa di serio lo fanno in tedesco, devo confessare che il simbolismo polisemico ed a tratti ossessivo di "Ein Puppenspiel" di Syberberg mi è piaciuto.

Lo PseudoSauro said...

Saul: Be', nemesi storica. Una volta i tedeschi dovevano parlare in francese ed in italiano perche' il tedesco era da "cocchieri". Siccome nemmeno il marxismo e' riuscito ad annullare la grande elaborazione della cultura mitteleuropea, si deve convenire che i francesi, a pensare in tedesco ci guadagnano qualcosa. Sulla liuteria, e sull'artigianato trasformato in "arte" a prescindere, si dovrebbe fare un discorso a parte; quanto a musica classica e folk USA, si deve dire che la continuazione del lavoro estetico musicale ha avuto luogo solo in america, essendo la "cultura" europea ripiegata su se stessa ormai da piu' di 80 anni. Seppure con molti distinguo l' "arte degenerata" dei nazisti aveva qualche fondamento storico-culturale; e, guarda caso, c'e' voluto proprio un papa tedesco per denunciare il relativismo etico-culturale che ha distrutto anche i canoni estetici che, dalla classicita' in poi, hanno informato l'Arte in casa nostra.

Lontana: effettivamente, l'aggiungere un'intermediazione culturale (vedi relativismo) ha fatto perdere all'Arte gran parte della sua fruibilita'. Il non voler capire che l'Opera d'Arte e' tale perche' puo' essere letta a piu' livelli e disprezzare la sua immediatezza, significa snaturarne il senso (arte degenerata). Se poi s'interrompe il flusso dell'elaborazione estetico-formale che, ad esempio, va da Bach, Haendel a Brahms, e' naturale ritrovarsi con Stockhausen... la "semplicita'" nella quale e' stata confinata la musica di cassetta, volutamente popolare, e' descritta altrettanto bene dal nuovo Papa che, da religioso, ma anche da musicista, parla di "passioni elementari". Del resto una volta in ogni famiglia si studiava e si "faceva" musica; ora la si consuma senza badare molto alla sua provenienza. Si tratta dell'ennesimo azeramento della nostra cultura.

Lo PseudoSauro said...

Naturalmente Sartorius e' un Sauro per nascita, quindi non c'e' bisogno di ratificare lo status quo. Mi piacerebbe fare un discorso sull' "identita'" del Sauro; visto che se non hai un'identita', ormai, non sei nessuno...

Nessie said...

Una precisazione. "Un cuore in inverno" è di Claude Sautet e non di Eric Rhomer. Dirò subito che mi sono limitata a fare delle critiche al "piccolo" cinema dei nostri piccoli giorni e a come viene gestito dalle solite clientele e camarille partitiche (finanziamenti compresi). Ma a fare delle liste di proscrizione sulle opere meritevoli e quelle no (come fanno i "rossi" e i "neri"), premiando quelle che rientrano nei miei canoni e ostracizzando quelle che non vi rientrano, francamente non rientra nelle mie intenzioni. Perchè non sono né fascista né comunista, vivaiddio, ma mi sento liberale. E in quanto tale per la libera circolazione delle arti e dei mestieri.

Nessie said...

Per Lontana. Sulla tua concezione di come gli inglesi vedono il teatro, sono pienamente d'accordo. Ci sono però forme espressive più popolari e altre meno. E non tutte le forme d'arte risultano immediatamente fruibili di primo acchito. Compito dell'artista è comunicare, ma anche sperimentare. Quando De Chirico se ne uscì con le sue piazze, le sue ombre, le sue false prospettive, dovette sconcertare non poco. Ora non ci sono dubbi che con la sua pittura "metafisica" è e resta un caposcuola. E le sue immagini fanno già parte della memoria collettiva. Spero di essere stata chiara e lungi da me ogni snobberia.

Anonymous said...

Ve lo ricordate Bisio, il viscido, cantare: "I Bambini sono di sinistra..."????

Si ma gli assegni li stacca PierSilvio...e va bene così al viscido!!!

Come quelli che speravano in una invasione russa ma stavano così bene protetti dagli USA...solite sinistre ipocrisie...

Mi fa piacere avere suscitato finalmente in voi delle vere simpatie, forse avete capito che sono dalla vostra parte, dalla nostra parte!!!

Il Vs. Nonnino

Leibniz Reloaded said...

Lungi da me voler attribuire "Un cuore in inverno" a Rhomer: non a caso di questo regista ho espresso un parere totalmente negativo, del film ho parlato in un paragrafo separato e successivo. Spiacente per l'ambiguità.

In ogni caso, la libera circolazione delle arti implica che a monte si possa e si debba distinguere ciò che arte non è: concetto assai diverso dall'accanimento fazioso ed aprioristico contro autori della sponda politica opposta.

D'altro canto, permettetemi una digressione, vi è anche una deformazione professionale che mi piacerebbe vedere universalizzata, mutatis mutandis.
Nel mio mestiere concentrarsi sui concetti trascurando del tutto chi li enuncia è semplicemente un diktat. Nessuno, inclusi gli storici della materia, nel valutare il lavoro di un logico o matematico si pone minimamente la questione se il padre di un certo teorema fosse un liberale, anarchico, filocomunista, simpatizzante fascista, dissidente, ubriacone, schizofrenico, omosessuale, scommettitore o puttaniere incallito (e cito solo casi normalissimi nelle biografie dei grandi matematici e logici...). L'importante è che la dimostrazione sia corretta. In sostanza, grazie all'oggettività ed al rigore dei risultati, siamo felicemente "costretti" ad anteporre la Verità, ed ove necessario il principio di realtà, sebbene la "raltà" sia l'ultima cosa che realmente interessa i matematici (un esercito di platonisti e solipsisti in pectore, con rare eccezioni) e la Matematica, contrariamente agli altri cugini e parenti delle scienze dure. Ma non divaghiamo (troppo).

Nel caso dell'arte, pur tenendo saldo il principio del non guardare la mano che porge e concentrarsi sul cibo, è più sottile e soggettiva la distinzione tra spazzatura dozzinale e genialità rarefatta: comunque essa esiste, checché possano vaneggiare i relativisti.

Scriveva John Dryden: "La scienza è arte costruita su principi, e l'arte è la scienza delle esperienze armoniche".
Gli fa eco il musicologo Karolyi: "La musica è arte e scienza allo stesso tempo. Perciò allo stesso tempo deve essere colta emozionalmente e compresa intellettualmente; anche per la musica, come per ogni arte o scienza, non esistono scorciatoie che facciano progredire nella conoscenza.".

Vale dunque la pena di alfabetizzarsi, sia in campo scientifico che artistico, per padroneggiare i rispettivi linguaggi e non lasciare il potere di selezione in mano ai soloni autoreferenziati che pretendono di elargire monopolisticamente al popolo bue la fruizione del bello e del buono, o delle interessate panzane "ecologiste" nel caso della scienza.

Purtroppo, madame Nessie, è vero che - se ci si limita ad osservare gli effetti trascurando il piano intensionale - nell'accidente i due atteggiamenti di cui sopra, ossia l'accanimento fazioso vs. la selezione critica e consapevole, paiono spesso coincidere: poiché esiste realmente un'egemonia culturale e molti cialtroni sono anche sinistri o autoproclamatisi tali. Ma si tratta di questione contingente, purché le intenzioni siano chiare fin dall'inizio.

A me piacerebbe comunque vedere universalmente applicati i canoni di Bloom, che sposano felicemente una competenza eccellente con la massima scorrettezza politica. Che a me piace assai.

Nessie said...

Al nonno. Quell' orrenda cavolata di Bisio di cui parli mi è toccato pure sorbirmela in un pacchetto teatrale confezionato secondo questi criteri: se vuoi fruire in abbonamento qualcosa di buono, beccati pure il Bisio. Cioè una una vera purga! Eh sì, di qualcosa bisogna morire.
Saul di fronte a un cotale dotto tuo eloquio, I'm speechless! E ogni commento è superfluo. Arm, premesso che viviamo in un contesto dove non si è più sicuri di niente, se vuoi il mio parere, sì, il cinema è un'arte popolare. Niente di alto, ma al servizio del pubblico. Che ha il diritto di premiare e di bocciare lo spettacolo. Non carichiamo l'arte di contenuto teologici e divini, sennò addio. Io mi rifaccio al Medio Evo e allo sviluppo di "arti e mestieri" nati nel "borgo". Cioè là dove nacque e si sviluppò la borghesia. In un perido in cui non esisteva arte separata dal "mestiere" e viceversa. Senz' ombra di bluff. Questa è la mia idea, ovviamente.

Lo PseudoSauro said...

Credo che oggigiorno ci sia una certa confusione tra "arte" e "artigianato", sebbene questo possa essere artistico, l'attribuzione incondizionata del marchio ex auctoritate trasforma qualunque cosa in "arte". E' il lavoro dell'Egemonia Culturale (che Iddio l'abbia in gloria) i cui obiettivi sono la propaganda occulta e la creazione di canoni conformi all'ideologia cui questa s'ispira. Il fatto stesso che il cinema fosse stato percepito come il piu' potente mezzo di persuasione delle masse ha contribuito a promuoverlo al rango artistico. Personalmente, credo che gli artisti (o artigiani) siano il regista, lo sceneggiatore, il direttore della fotografia... insomma: quelli che non si vedono. L'esperienza del Neo Realismo in Italia, o di fenomeni analoghi altrove, mostra chiaramente come gli attori possono essere "presi dalla strada". Il problemino sta nel fatto che in Italia i registi vengono raccattati tra i comici con nemmeno 5 anni di esperienza; gli sceneggiatori tra i "letterati" che hanno letto "al massimo" i libri d'ordinanza ed hanno scritto (se va bene) una tesi di laurea col copia e incolla. E i risultati si vedono...
Quanto al discorso di Nessie su De Chirico (ma aggiungerei Savinio), non sono d'accordo. Quando si prefigura il superamento di cio' che e' universalmente considerato il "canone artistico" e' necessaria una robusta cultura a supporto, quindi l'arte perde la sua oggettivita' --> arte degenerata. In momenti storici come l'attuale, in cui la memoria storica e' pressoche' zero, l'opera di metafisici e futuristi non ha senso, e viene confusa con la pubblicita', che e' la figlia di questa visione artistica. Non a caso la propaganda era uno degli obiettivi di questa corrente, che si puo' definire dunque, anche se impropriamente, "di regime"; si', ma anche di qualita'... cosa che non si puo' dire di chi fa lo stesso ora.

Lo PseudoSauro said...

Per quanto riguarda la musica, e' accaduto lo stesso che per le arti figurative, ma in modo meno grave. La definizione che dava Bach (e l'illuminismo) del termine, era: "Dilettevole arte dei suoni", cosi' come per le arti figurative l'obiettivo era quello dell "imitatio naturae". Capirete bene che se aboliamo questi 2 concetti azzeriamo completamente l'esperienza illuminista e finiamo in balia del solito relativismo che pretende di spiegare, e sempre a posteriori, ogni cosa (vedi il lavoro del critico). L'arte stessa diventa qualcosa che non e' piu' possibile definire in modo univoco.
Fortunatamente i sensi ci soccorrono, se glie lo permettiamo... quindi quando ascoltiamo una fuga barocca, pur non sapendo di che si tratta, restiamo affascinati dal suono e dalla LOGICA che essa esprime secondo raffinatissimi criteri compositivi che giocano sulla psicologia umana, prima che su quella musicale. Altra cosa sara' lo scrivere e l'apprendere il contrappunto, ma rimane il fatto che anche l'incolto e' in grado di apprezzare il risultato. Ascoltate questa di Haendel e poi sappiatemi dire: http://utenti.lycos.it/dinosauro2004/sound/Allegro.mp3

Lo PseudoSauro said...

Pardon: Allegro

Nessie said...

Posso essere d'accordo con Arm e il suo discorso di "my job" perchè mi pare profondamente onesto e pragmatico.Soprattutto, umilmente americano e senza boria. Ma vorrei partire da un concetto più "manuale" e concreto dell'arte-mestiere che avevamo anche noi durante l'età dei Comuni: quello degli antichi quando dicevano "Impara l'arte e mettila da parte". Cioè il mestiere, che è quello che è scomparso oggi. Da qui le buone ragioni di Sauro sui guitti che si improvvisano registi. Sauro, su De Chirico ci rivedremo a Filippi perchè qua andiamo proprio fuori tema e io non concordo sul tuo concetto di "arte degenerata". Ma questo è un altro post, of course.Non sprechiamolo adesso.

Lo PseudoSauro said...

Nessie, l'arte "degenerata" e' quella che ha bisogno di manuali ed illustratori. Il progresso delle arti figurative e' stato costantemente teso alla rappresentazione "fedele" dell'oggetto. Dopo una data epoca (vedi Freud) l'arte si e data all'immaginazione, poiche' riteneva di aver esaurito gli strumenti tradizionali. Cosi' nacquero avanguardie praticamente in ogni disciplina, compresa la musica. Cio' ha un senso fino a che si mantiene un solido legame culturale con tutta la storia dell'arte; ma ora questo legame non c'e' piu', per cui questo tipo di arte viene capita solo da chi possiede gli strumenti per apprezzarla. Immagina che direbbe un'ipotetico pronipote che fra 10 mila anni trovasse un Munch... e se invece trovasse un Caravaggio o un Pier della Francesca? Il valore dell'arte e' assoluto; quando la si confina ad un'esperienza storica o culturale non e' piu' ne' percepibile ne' arte tout-court.

Nessie said...

Uhmm...sei impaziente eh? No, questa qua delle arti figurative me la voglio tenere per un'altra volta. E rifletterci sopra come merita. Don't hurry! Per ora resterei ancorata al cinema. Ma quanto mi piace l'idea che Visconti avesse licenziato un cameriere per non aver spazzolato il suo gatto persiano! E che cosa si sono persi i sindacati "rossi", a non averlo saputo prima ! Se lo avessero saputo, scommetto che avrebbero organizzato uno sciopero con picchetti sotto la sua magione patrizia! Con diritto all'esproprio proletario.

Nessie said...

PS: Il post di cui sopra era per Sauro. Poi si è inserito Arm proprio mentre spedivo. E comunque il suo racconto sulla "fuffa" artistica non mi stupisce affatto. :-)

Lo PseudoSauro said...

L'immaginifico Armatexon ha detto tutto. Se si dovessero usare gli stessi criteri per l'arte del passato, immaginatevi che allegria... Ora ne racconto una io. Siccome sono sempre stato un burlone, mi misi in testa di inventare un musicista inesistente. Composi un pezzo in stile basato sul Gaudeamus Igitur, insieme ad amici inventai la personalita' dell'autore, che avrebbe dovuto avere qualche punto di contatto con il critico per solleticarne la vanita', gli misi un nome che anche un fesso avrebbe intuito per falso, realizzai il "documento" con materiali che un tecnico avrebbe catalogato come "sospetti", lo presentai e... dopo un mese mi ritrovai su di una rivista del settore. E' tutto un bluff; chissa' quanti falsi cosi' ci sono in giro... e pensate che per fare cose simili, il "mestiere" bisogna perlomeno conoscere... mentre per scrivere musica, ormai, non e' nemmeno piu' necessario averla studiata. Pensate al fu Giacinto Scelsi, vincitore di premi internazionali di composizione, ottimo filosofo e letterato, ma con il piccolo difetto di non saper suonare nemmeno il campanello di casa... per non parlare dei "musicisti" semianalfabeti e strapagati che fanno fortuna da 50 anni a questa parte. Decisamente nazisti e bolscevichi avevano capito perfettamente dove saremmo andati a finire, e l' "arte degenerata" e' sotto i nostri occhi, ma noi non la vediamo come il Re Nudo.

Lo PseudoSauro said...

P.S. Ora sto ascoltando Brahms... che dal forum di Allam scopro essere un proto-nazista in quanto nazionalista tedesco... Non so che ne pensate voi, ma tra Johannes Brahms e Salvatore Sciarrino io ci sento ancora una certa differenza...

Nessie said...

Caius Sartorius dixit! E disse bene. Questa manfrina del "non dire" per tenersi buoni gli americani, è proprio da furbo contadino toscano. Di lui ha detto bene Villaggio: "quando scuote la tovaglia dal balcone, tornerebbe giù di corsa a raccattarne le briciole".

Anonymous said...

Devo dire che non ho mai letto una critica su Benigni tanto corrispondente alla realtà...é quello che ripeto fin dal "capolavoro" La vita é bella e che a me non é piaciuto affatto.
Inoltre la Braschi ha un'espressività pari se non inferiore, a quella della Bellucci (che se non altro é un bel vedere). Molto probabilmente Benigni ce la propina in ogni suo film perché così porta a casa,la paga del suo mestiere di "attrice", cioé i soldi che il maritino arraffa dai finanziamenti statali.
Passando a Moretti é semplicemente odioso, lo stereotipo del girotondino tutto supponenza e niente sostanza. Il suo prossimo film "Il caimano" é "dedicato" a Berlusconi, e vedrai che recensioni, anche se cinematograficamente parlando, sarà una boiata pazzesca...ma si sa Michael Moore docet.
Complimenti bel blog
ciao Mary

Nessie said...

Grazie Orpheus. Ti ho messo in memoria tra i links, e mi fa piacere che ti sei occupato dello stesso tema. La verità che la cultura, l'educazione, le arti, lo spettacolo (cinema, concerti, teatro, eventi ecc.) i governi di centrodestra li hanno sempre stolidamente lasciati nelle mani dei sinistri. I quali hanno astutamente esercitato la loro egemonia. Quella che gli altri li hanno lasciato. E' inutile poi strapparsi i capelli e piangere sul latte versato! Quand'è che la capiremo che "far politica" significa anche questo? Mi chiamo Nessie e non Mary, ma va bene lo stesso. Ciao

Anonymous said...

Infatti Mary sono io :)...naturalmente hai ragione,bisogna vivere nella realtà e la realtà dimostra che la politica si fa anche egemonizzando il mondo dell'arte e della cultura. Anche se ciò a mio parere é sbagliatissimo perché arte e cultura deve essere frutto di fantasia, genialità, sensibilità, amore e non di "sporchi" calcoli politici.
Il risultato lo abbiamo sotto gli occhi mediocri registi, quando non incapaci,che vengono esaltati come geni.
(ogni riferimento a quel merluzzo surgelato di Moretti non é puramente casuale)
Forse perché io amo il cinema profondamente, ma tutto questo mi mette un'infinita tristezza.Ciao Mary

Nessie said...

Quello dell'egemonia della cultura è un problema assai controverso che mi sono posta anch'io, Mary. Se facciamo come "loro" non siamo più "noi".Ovvero liberali. Però non possiamo nemmeno vivere in eterno la frustrazione di dargliele tutte vinte con la scusa che noi siamo liberali e loro no. Loro non lo sono. E allora che facciamo? Continuamo per il resto dei nostri giorni a lamentarci sui Benigni, i Moretti e le Guzzanti? Quest'ultima se ne esce con un filmastro che già dal titolo è tutto un programma: VIVA ZAPATERO!

Leibniz Reloaded said...

Gli aneddoti narrati dal buon Pseudosauro e da Armatexon non sono che la punta di un mostruoso iceberg. Potrebbero riempire una Treccani, le beffe ai danni dei boiardi e valvassori dell'egemonia culturale; ai quali, peraltro, si adattano ancor oggi perfettamente le parole che Tacito, negli annales, dedica ai vari Pallante e Callisto, prototipi ante litteram del burocrate ottuso e maneggione: "Esercitano imperio regale con animo di schiavi".

Tra questi aneddoti, tuttavia, ve n'è uno di straordinaria importanza, per vari motivi:
- perché è avvenuto ai massimi livelli della cultura, sulla più quotata rivista accademica di ermeneutica e poi sul New York Times, si parva licet;
- perché ha avuto l'effetto di svergognare definitivamente l'ignoranza crassa e l'autoreferenzialità del relativismo e del decostruttivismo;
- perché riguarda le scienze esatte, e dunque è doppiamente inaccettabile qualsiasi discrasia opinionale al riguardo.

La storia è presto narrata: il protagonista è Alan D. Sokal, un brillante astrofisico che possiede un ottimo sense of humor, e soprattutto una genetica intolleranza per le balordaggini, come tutti coloro i quali hanno dedicato la propria esistenza alla missione di trovare un pezzetto di Verità.

Nella primavera del 1996, Sokal inviò un articolo involuto ed artefatto alla più nota rivista di studi culturali ed ermeneutici della West Coast, "Social Text", organo della Duke University su cui sgomitano per scrivere i più quotati epistemologi viventi. Insomma, una di quelle pochissime riviste che sono status symbol per tutti gli intellettuali, linea di discriminazione tra chi è "in" e chi, invece, è definitivamente out.

L'articolo si intitolava, pomposamente, "Transgressing the boundaries - Toward a transformative hermeneutics of quantum gravity": e meritava, invero, la pubblicazione su "La scienza impossibile" di Marc Abrams, tanto era infarcito di frasi letteralmente prive di significato, idiozie apodittiche ed antiscientifiche, citazioni di intellettuali che non sanno assolutamente cosa dicono in merito alla fisica. Il tutto artatamente allineato al linguaggio e alle posizioni tipiche delle discipline sociali decostruzioniste.

Cosa più importante, e meramente comprensibile nell'artificioso guazzabuglio, Sokal mostrava infatti di condividere le più diffuse perplessità relativistiche su presunte "pretese di assolutezza" della scienza, simulando così l'ennesimo, inutile attacco degli indiani ad un fortino ideologico che in realtà è smilitarizzato ed abbandonato ormai dalla fine dell'ottocento.

Così, per mera sottomissione all'accordo ideologico, il testo è stato pubblicato.

Nell'estate del 1996, mentre la comunità dei fisici e dei matematici si reggeva ormai la pancia dal troppo ridere, lo stesso Sokal rivelò a chi non lo aveva ancora capito che si trattava di una goliardata, e che la sua pubblicazione poteva essere additata come la prova dello scandaloso livello di ignoranza in cui sguazza l'ermeneutica nei riguardi della scienza, oltre che dei suoi dubbi standard intellettuali.

Una figuraccia mostruosa, incredibile, che ha avuto lunghi strascichi perfino sul New York Times, rivelando la terrificante superficialità sia del board redazionale che dei lettori tutti della rivista, che non hanno rilevato, magari indignandosi, le insensatezze scritte da Sokal.

Non aggiungo altro, chè andremmo troppo lontano, in merito alla caratterizzazione politico-culturale della beffa, che si vuole contrapporre con forza estrema al "relativismo" ed al pericoloso e deviante "multiculturalismo all'americana", quello dell'affirmative action plan e del glass roof, splendidamente trattati nel capolavoro di William A. Henry III "In difesa dell'elitarismo".

Sulla vicenda, nonostante la cappa di censura e silenzio imposta dai "continentali", sono stati prodotti diversi ed interessanti testi, tra i quali "Imposture intellettuali" dello stesso Sokal, e "Beffe, scienziati e stregoni" del logico torinese Gabriele Lolli.

Naturalmente è ammirevole la faccia di bronzo con cui, nonostante questa enorme debacle con relativo pubblico sputtanamento durato molti mesi sulle pagine dei più autorevoli organi di stampa USA e nonostante l'assoluta incongruenza delle basi concettuali, certuni continuano ostinatamente a rivendicare un ruolo ed una dignità per il gruppone dei soi-disant relativisti, post-modernisti, continentali, decostruzionisti o come altro diavolo hanno deciso di farsi chiamare oggi (questa della palingenesi nominalistica continua pare una sindrome molto diffusa in certi ambienti, vedansi i comunisti neo, ex, post, vetero, cripto, catto...).

Naturalmente, per chi ha bisogno dei sottotitoli, questo non implica che non esistano singoli filosofi degni di tale definizione, che in qualche misura si possono avvicinare alla tradizione continentale o a posizioni "terze" rispetto alla scuola analitica: il problema, al solito, sono le pletore di incapaci che si nascondono dietro etichette e conventicole di comodo, al fine di propalare le proprie imbecillità senza dover fare i conti con la razionalità, il metodo, il rigore, i linguaggi formali, le idee chiare e distinte che sono peculiari dell'approccio analitico.

Nessie said...

Amici, scusate se torno a bomba, ma oggi "la marcia di Roma degli incazzati miliardari" proprio non mi va giù. E meno male che a riportare un po' di giustizia sul Corriere c'è il solito Zeffirelli diventato sempre più (e giustamente ) Externator, il quale critica anche questo governo per avere imitato la sinistra coi finanziamenti "a pioggia"! Partecipano allo sciopero dei pezzentoni-ricchi: Roberto Benigni, il solito Citto Maselli (registuccio mezza tacca), i Taviani, Gabriele Lavia, Mariangela Melato, Monicelli, Proietti, Ettore Scola,la Sandrelli ecc. Ma udite udite: quel "paraculo" (fatemelo dire, sì) di Benigni che doveva uscire proprio oggi col suo film, è riuscito a far tenere aperte le sale di Milano per non perdere gli incassi. Ma perchè i suoi colleghi non vanno davanti ai cinema Anteo, Apollo, Cavour, Eliseo, Odeon a boicottoare e a picchettare la pellicola del loro collega giullare e crumiro? sgrunt! :(

Lo PseudoSauro said...

Nessie: in TV c'era "Il Gigante" e i girotondi non li ho considerati. Tanto ci faranno una testa cosi' per tutta la settimana.

Armatexon: Il film mi ha fatto riflettere sulla questione etnica e culturale che potremo approfondire in altra sede.

Saul Kripke: che dire? Sono ammirato e divertito insieme. Credo che con Armatexon v'intenderete.

Il vostro pseudo-editor e' un po' indaffarato, quindi si dedichera' a rovinare i testi che gli avete incautamente affidati, appena gli sara' possibile. :-)

Nessie said...

Macchè girotondi Sauro! svegliati! Sono quelli del cinema e dello spettacolo che - poverini - fanno finta di essere alla fame. Il Gigante l'ho visto almeno 30 volte. Solo "Via col vento" lo supera ( forse raddoppia): 60 volte? Ciao

Anonymous said...

Ciao Nessie, ti rispondo qui.
Certo che Benigni é un gran furbacchione e riesce a tenere i piedi in molte scarpe. Chissà come avrà fatto a far tenere aperti i cinema in cui si proiettava il suo film....quanto ai suoi compagni di merenda e di girotondo vale il detto "cane non mangia cane".
Ti metto qui una rec della Tigre e la Neve, che ho letto su Libero.
Troppo forte mi sono fatta due risate leggendola, certo che quando i compagni andranno a vedere il film avranno una brutta sorpresa:))))))))
NEL FILM ROBERTO È UN POETA ACCHIAPPANUVOLE CHE TENTA DI SOCCORRERE LA DONNA CHE AMA ( LA BRASCHI) RIMASTA SOTTO UN BOMBARDAMENTO IN MEDIORIENTE. LA PELLICOLA È UN INNO ALLA PACE, MA FATTA CON IL CHIARO INTENTO DI COMPIACERE IL PUBBLICO USA LA TRAMA Il film comincia come tutti i Benigni precedenti. Benigni ( qui Attilio come Attilio Bertolucci, poeta famoso e padre di Bernardo) è innamorato di Nicoletta Braschi che manco se lo fila ( per chi si fosse messo solo ora in contatto col mondo benignesco riveleremo che Nicoletta, questa arrampantissimo oggetto di desiderio non assomiglia certamente a Monica Bellucci e manco alla zia di Monica). Lui spasima, ma a lei questo poetucolo di paese che si ostina a citare Dante e Petrarca nell'era di " C'è posta per te" proprio non interessa. Non che Nicoletta ( qui Vittoria) sia una dura, concreta donna in carriera. Anche lei vive d'aria, cioè di poesia, ma tira molto più in alto rispetto alle bassezze del povero Attilio. Innamorata ( in ogni senso) del più grande poeta arabo, Fuad, sta scrivendo un saggio su di lui. Anzi conta di raggiungerlo al più presto in Medio Oriente per un incontro ravvicinato. Ariosa, cretina e anche sfigata. Dove si trova il Fuad? Ma a Bagdad, naturalmente. E in che giorno arriva a Bagdad la cretina? Proprio quello dello scoppio della guerra. Morale, nel primo bombardamento anglo americano, è proprio la Vittoria a entrare nell'elenco delle prime vittime. La tirano fuori dalle macerie, se non morta molto lì per lì. E le speranze di guarigione sono pochissime. Le prime cure gliele forniscono in un ospedale iracheno con attrezzature da guerra 15/ 18. Per salvarla urgono medicine che lì proprio non hanno. Niente paura , sta arrivando a spron battuto l'innamorato Attilio che dalle sue colline toscane ha sentito il rombo dei cannoni. Ora Attilio è un povero bischero con problemi di sopravvivenza anche a casa sua. Ma la forza dell'amore si sa fa compiere miracoli. E la benevolenza verso il datore di lavoro degli sceneggiatori è in grado di prodigi anche maggiori. Attilio salverà la sua bella. Non senza: 1) aver superato innumerevoli posti di blocco ( altro che sparatorie tipo Sgrena, gli americani del film stendono quasi i tappeti rossi al passaggio degli italiani) 2) schivato un imprecisato numero di bombe ( la sua capacità di scansare supera quella di Chaplin in " Charlot soldato"). 3) imparato in minuti tre a cavalcare un cammello ( ma se a casa non gli facevano neanche guidare un motorino). 4) realizzare il sogno di Vittoria: incontrare il mitico Fuad ( il monolitico Jean Reno, reso ancora più monolite del solito dal fatto di non aver capito con ogni evidenza un tubo nè del film nè di quello che Benigni voleva da lui). La fortuna indiavolata di Attilio smette di brutto quando per un'interferenza nel suo telefonino lo scambiano per un terrorista. Lo arrestano. Ma pazienza. Vittoria sarà salvata. Certo Attilio era un filino più contento se, prima di rimpatriarla, la mettevano al corrente che doveva la sua sopravvivenza proprio al poetucolo. PIACERA' A chi preferisce il Benigni di medie ambizioni, quello che non tira troppo alto ( centrando magari il bersaglio nella " Vita è bella" e sbagliandolo di brutto in " Pinocchio"). No, il Benigni di " La tigre e la neve" è con pregi e difetti ai livelli di " Johnny Stecchino" e " Piccolo diavolo". Storie d'amore difficile tra lui e Nicoletta, con uno sfondo di maniera ( la mafia, gli esorcismi e qui la guerra). Come nelle opere di cui sopra il divertimento è tanto o poco a seconda dello spazio dato a Nicoletta sullo schermo. " Il piccolo diavolo" era uno spasso finchè in scena dominava Walter Matthau e una lagna quando al grande Walter subentrava la piccolina Braschi. Qui per ridere decisamente dobbiamo aspettare che la signora Benigni rimanga sotto le macerie. Con lei inchiodata alle lenzuola putride di un ospedale iracheno, Attilio- Roberto può saltellare a ruota libera tra le macerie di Bagdad, duettare col cammello e Jean Reno ( le reazioni di entrambi gli interlocutori sono analoghe) fare marameo ai posti di blocco. Per far scendere il livello di ilarità dobbiamo aspettare il finale ( col ritorno di Vittoria tra le amate sponde italiane). Finale che a sentire il Roberto, forse spiacerà agli spettatori americani. Balle. Più precisamente le ultime balle delle molte raccontate dal Roberto da quando diede il primo ciak alla " Tigre e la neve". Chi ha visto il film nelle varie anteprime delle scorse settimane, avrà avuto l'occasione di essere tra i pochi privilegiati. In realtà prima di portare le copie in Italia Benigni l'ha fatto vedere e rivedere ai suoi finanziatori americani ( ma cosa credete, che i sessanta miliardi di budget li ha abbia erogati la Melampo produzioni presieduta da Nicoletta Braschi?). I quali finanziatori avranno voluto appurare che neanche un metro di pellicola potesse risultare sgradito al medio spettatore USA. Con buona pace di tanti compagni di strada di Benigni, " La tigre e la neve" è tanto antiamericano quanto un fumetto di Tex Willer ( anzi meno, perchè Tex ogni tanto qualche militare yankee carogna lo fa vedere, mentre qui tutti i bonaccioni in divisa sembra in Oriente per una scampagnata di reduci). Chi volete che tra i reduci vada in crisi per un pacifismo all'acqua di rose come quello propinato dall'ultimo Benigni? Giorgio Carbone

Alla Braschi l'autore del'articolo gli ha fatto la fotografia:)
Quanto é antipatica...

Nessie said...

Grazie mille Orpheus! Mi ha divertito un sacco la recensione di "Libero" :-) Devo dire però che la topica del film, pur non conoscendo la trama così nei dettagli, l'avevo identificata senza neppure averlo visto. E con questo intendo inaugurare un nuovo genere letterario: "la stroncatura preventiva". Ti va l'idea? Si accolgono adesioni...Ciao e grazie.

Lo PseudoSauro said...

Bah, Nessie, girotondi o meno, che siano, non cambiano i risultati. Un po' come se Maria Antonietta protestasse per la carenza di croissants...

Anonymous said...

Raccolgo la proposta e m'iscrivo subito la mia prima recensione preventiva la farò sul Caimano di Moretti:-)))))))non credo proprio che dovrò spremermi troppo le meningi per scriverla...ciao