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14 December 2025

Censura contro i Russi ma alla Scala spunta un'opera sovietica

 


Qualcuno ha definito il teatro della Scala come il tempio artistico  della massoneria. Una riprova è stata data quando ci fu il colpo di stato tecno-finanziario contro il governo Berlusconi nel 2011. Tutti ricorderanno che dopo la sua destituzione, Napolitano che ebbe una parte attiva nel...chiamiamolo  così "avvicendamento" del governo tecnico, si ritrovò poi alla Scala  con Mario Monti e - guardate un po' - per l'occasione diedero il Don Giovanni di  W. A. Mozart, autore notoriamente massone, iniziato alla Loggia  Zur Wohltatgkeit (Per Beneficienza) nel 1791. E non lo scrive qualche "complottista", ma sta su una pagina ufficiale del Grande Oriente. Con l'allora Presidente della Repubblica e il neo Primo Ministro non eletto, sul palco che assistettero belli rilassati al compimento della loro "missione". E con il personaggio del convitato di pietra (o commendatore) dalla camicia insanguinata che davanti a loro intonava l'aria "Don Giovanni a cenar teco mi invitasti".  All'evento  scaligero svoltosi il  7 dicembre 2011 dedicai un post   di riflessione, ricco di commenti intriganti che sono tornata a rileggere in questi giorni. 

Napolitano e Monti assistono al Don Giovanni di Mozart alla Scala (2011) 

Il 7 dicembre u.s, giorno di Sant'Ambrogio c'è stata, come è noto,  la prima di "Lady Macbeth del distretto di  Mcensk" di  Dimitrij Sciostakovic tratta dalla novella di Leskov.  Premetto che di questo compositore conosco solo un paio di cose: il concerto di Leningrado (sinfonia N.7) in linea coi dettami del realismo socialista. Ovvero, un’arte militante, adatta al mondo nuovo che si veniva costruendo nella neonata Unione SovieticaE pure quel valzer N.2 che Kubrick inserì  nel suo film "Eyes Wide Shut", un brano che personalmente trovo assai deprimente, ma adatto all'atmosfera decadente del film.  La mia conoscenza si esaurisce qui, perciò, mi ritengo una profana della sua opera. 

Non  farò discussioni formali sull'Opera che  è riuscita ad annoiarmi già al secondo tempo. E i tempi erano quattro. Qualcuno in questo sito mi ha già tolto le parole dalla tastiera: "Tutto, ma proprio tutto, depone a suo sfavore: durata impegnativa, trama feroce, linguaggio musicale che non fa prigionieri, nessuna melodia da canticchiare uscendo dal teatro".
 
Appunto! nessuna romanza da canticchiare, come avviene per il Melodramma italiano, ma qui siamo in URSS in un tempo in cui i furori della rivoluzione non si sono ancora sopiti; pertanto non vi sono dolcezze, né melodie.

Il resto è noia, nonostante la trama scabrosa, gli amplessi mimati, la protagonista pluriomicida (uccide il suocero, poi il marito, poi l'amante del suo ultimo compagno, ma poi si suicida in una catarsi di torce umane che prendono  fuoco). Non mancano  i soldatacci sovietici, le spie, i delatori e gli spiati,  i due amanti diabolici con un lui in canottiera, boxer e calzini  e una bella pancia in vista. "Realismo socialista" anche questo? La protagonista Katerina, del resto, indossava in molte scene, un dimesso tailleur marrone che la faceva sembrare  una commissaria del popolo piuttosto in sovrappeso. 
Ma la cosa più triste e deplorevole è aver visto  un Vespa e una Carlucci (le disgrazie non vengono mai sole)  nel foyer, i quali  si intendono di opera come io mi intendo di ingegneria  aerospaziale, mettersi lì a pontificare sulla rappresentazione, forti dei loro saperi sui Bignami che sono stati costretti a ripassare la sera prima del debutto.  Poi spunta il rapper Mahmood in livrea di lusso per la première, passando con disinvoltura del Rap, all'Opera.  Né mancano attorucci da fiction televisive come Veronica Pivetti che inneggiava all'eroina  così insubordinata al "patriarcato". Chi si volesse documentare sulla trama vada a questo link. Ma non è questo che mi interessa mettere a fuoco. 

Il soprano americano Sara Jakubiak interpreta il ruolo di Katerina


Quel che mi sconcerta è constatare che nessuno della stampa di sistema si è mai domandato il motivo assurdo per cui hanno bandito da concorsi internazionali  fior di pianisti, solo perché russi, mentre poi mandano in scena un'opera scritta nel periodo sovietico. Hanno  discriminato  ed escluso artisti giovani e dotati, dalla partecipazione ai concorsi, identificandoli come rappresentanti  ufficiali del governo russo:  una vera e propria aberrazione! E perché mai hanno di recente ostracizzato  il direttore russo Valery Gergiev alla Reggia di Caserta costringendolo ad annullare il concerto?
Perché hanno impedito a un relatore dell'Università Bicocca  di  Milano, di tenere la conferenza sul grande Dostoevskij? La scusa penosa era “evitare ogni forma di polemica in questo momento di tensione”. Per poi fare l'inutile balbettante retromarcia. 
Ce n'era perfino per i gatti russi che non potevano partecipare all'esposizione felina, perché gatti dell'Est. 
Insomma, in questi  quattro anni sono avvenute le più grottesche ridicolaggini censorie, ma adesso, a sorpresa, si mette in scena un autore sovietico, il quale in seguito ebbe contrasti con Stalin che lo censurò, secondo il copione dei soliti scontri inter-ideologici  fra "compagni"(le chiamano "contraddizioni in seno al popolo"). Un'opera poco conosciuta diretta da un regista russo (Vasily Barkhatov), col coro della Scala che cantava in russo, il soprano americano di origine polacca che gorgheggiava in russo.

Che cosa diavolo è cambiato? Si avvicina la Pax Americana nel conflitto russo-ucraino? O  meglio, una Pax russo-americana? O si mette in scena un'eroina che uccide invece di venire uccisa come solitamente avviene nel Melodramma classico, solo per spirito di rivolta? 
Ricordo la Carmen di Bizet che viene pugnalata da don José. Nell'opera di Verdi, Desdemona viene uccisa da Otello, per gelosia.  La Aida viene sepolta viva col suo Radames. Mimì nella Bohème di Puccini muore di tisi. La Butterfly si fa harakiri, perché viene abbandonata da Pinkerton, l'ufficiale di marina degli  Stati Uniti del quale era innamorata. Insomma, l'aver messo in scena un'opera con una provetta assassina, è da interpretare come la solita rivincita del femminismo sull'Opera che segna invece la caduta e  la sconfitta delle donne? Certamente ci sarà anche questa componente, ma, a mio avviso,  non dev'essere l'unica ragione.  
La scelta dell'Opera di Sciostakovic presenta  diverse zone d'ombra, ma di sicuro chi ha deciso  di mettere in scena un'opera ingombrante come quella, sa dove vuole andare a parare e quali messaggi, più o meno sottotraccia, vuole veicolare, dato che gli eventi della Scala vanno per il mondo. In ogni caso, anche questa volta,  ci troviamo davanti  a  uno sconcertante "contrordine compagni".

III Domenica di Avvento

05 December 2025

Il Bosco fa paura alle sinistre


Martin Heidegger nella Foresta nera (Schwarzwald)

Con ogni evidenza il  "Bosco" fa paura ai compagnucci, forse immemori che un tempo era il rifugio dei ribelli partigiani, i quali aspettavano i pacchi della sopravvivenza dagli elicotteri degli  Alleati, proprio dandosi alla "macchia". Non a caso in francese i partigiani venivano definiti les maquis, cioè coloro che si danno alla macchia. Dunque da dove viene questa cultura del sospetto da parte dell'attuale sinistra intellò per la parola "bosco" ?  E  più nello specifico, per un piccolo editore che  titola la sua attività pubblicistica "Passaggio al bosco"? Sembra di sentire una vecchia canzonetta di Sanremo: "Non mi portare nel bosco di sera/Ho paura del bosco di sera...". E se non ci scappasse da ridere, ci sarebbe quasi da piangere.

A proposito di bosco, ha fatto impressione anche a me, come suppongo a molti di voi, sentire le grida strazianti di quei poveri piccolini, strappati ai genitori nella nuova famiglia di neorurali dell'Aretino. Purtroppo occorre dire che la sinistra vince anche quando perde elettoralmente e non gode del consenso popolare. Perché? Perché occupa da tempo immemorabile tutte le casematte gramsciane delle istituzioni. Una su tutte, la magistratura che mostra di essere sempre più il braccio armato del Nuovo Ordine Mondiale. Le toghe sinistrate si sono messe a rastrellare (non trovo altri termini)  i boschi in cerca di piccoli inadempienti agli obblighi vaccinali, inviando in spedizione, i carabinieri e facendo presidiare il bosco da agenti in tuta anti-sommossa. Ma si rendono conto agli occhi dei fanciulli cosa vuol dire vivere simili traumatiche esperienze? E affermano pure di fare  tutto ciò, per il loro bene? Qui la cronaca e il video della recente impresa di sottrazione dei minori. 


Sul versante intellettuale,  notiamo invece gli sforzi  della gauche caviar, tutti volti a impedire che una casa editrice che si chiama per l'appunto, "Passaggio al bosco", esponga i suoi libri alla mostra di "Più libri più liberi". Curioso che il bosco faccia tanta paura alla sinistra. Ma quegli 80 e passa intellettuali che hanno firmato un manifesto, li conoscono o no,  i miti fondativi del  bosco nelle  varie culture nord-europee?  I cicli arturiani della Tavola Rotonda, hanno per sfondo il bosco, ad esempio. Ed è nel bosco che viene suggellata la fratellanza d'armi dei Cavalieri. Senza contare le varie fiabe popolari laddove il bosco, per i piccoli protagonisti, assume una funzione di iniziazione alla vita. Penso ai fratelli Grimm, ma non solo. 

La fiaba di Hansel e Gretel dei Grimm

Martin Heidegger, uno dei più  grandi filosofi al mondo, rifiutò prestigiose cattedre per continuare a lavorare non lontano dalla sua baita, sita nella Foresta Nera nel piccolo villaggio di Todnauberg, trasformando quel luogo, in un simbolo di vita autentica, di ritiro spirituale e di ricerca filosofica.   

Per Ernst Jünger , a sua volta influenzato da Heidegger, il bosco era il rifugio a cui attingere risorse psico-fisiche, ritrovando in esso, nuova linfa e ripristino di energie perdute. Il suo "Trattato del Ribelle" (guarda caso, il titolo originale del libro è Der Waldgang che significa per l'appunto "passaggio al bosco"), è un testo di una straordinaria modernità e attualità scritto, per paradosso, da un antimoderno, un anti-tecnologico e anti-tecnocratico come lui. Ecco la sinossi del prezioso volumetto:

 "Nei primi anni del dopoguerra, mentre si andava delineando quella integrazione planetaria nel nome della tecnica che oggi è sotto gli occhi di tutti, Ernst Jünger elaborò questo testo, apparso nel 1951, oggi più affilato che mai. La figura del Ribelle jüngeriano corrisponde a quella dell’anarca, del singolo braccato da un ordine che esige innanzitutto un controllo capillare e al quale egli sfugge scegliendo di «passare al bosco» – dissociandosi, una volta per sempre, dalla società. Il Ribelle jüngeriano sente di non appartenere più a niente e «varca con le proprie forze il meridiano zero».

 E invece a cosa assistiamo? Alla burla grottesca di oltre 80  scrittori, artisti, pseudo-artisti di regime che  hanno sottoscritto il loro manifesto editoriale di ciò che secondo loro deve essere pubblicato e cosa invece dev'essere censurato, perdendo quindi ogni diritto di venire letto. E fanno lo screening dell'editoria ideale secondo loro (politicamente corretta e ovviamente allineata), a una piccola casa editrice. 

Ma torno ai bambini del bosco. I  bambini  non sono figli dello Stato e delle istituzioni, e se è vero che non sono proprietà esclusiva dei loro genitori, come ha affermato con veemenza il magistrato Cecilia Angrisano sul primo caso della famiglia anglo-australiana, è altrettanto vero che non è lo stato a dover sindacare e intromettersi sugli stili di vita delle famiglie. Il criterio di non appartenenza, un bambino lo apprende più  tardi quando è adulto e non per decreto della magistratura, ma per scelta volontaria, quando l'individuo già formato si stacca di sua iniziativa dal nucleo familiare e parentale.  Pertanto è velleitario e arrogante pensare di esercitare tutela sui bambini senza rispetto per i loro genitori. Non siamo (ancora) in uno stato sovietico per fortuna, laddove poteva essere sottratta la patria potestà genitoriale. Le assistenti sociali  e gli psicologi non sono "mamma e papà". E nemmeno, genitore1 e genitore2.  Spero tanto che anche questa nuova perseguitata famiglia dell'Aretino possa avere lo stesso clamore mediatico di quella Trevallion-Birmigham, con relativa mobilitazione di massa. E' ora di finirla con questi abusi da totalitarismo sovietico mascherato da paternalismo che si pasce di termini come "casa-famiglia", "area protetta" e "dialogo protetto".

Ritornando al piccolo editore fiorentino di Passaggio al bosco, titolo evocativo del saggio jungeriano, spero che tutto l'ostracismo di cui è stato fatto oggetto, serva solo a dargli pubblicità e notorietà e a garantirgli più lettori. Per ora, a difendere il suo diritto a pubblicare è stato Innocenzo Cipolletta  della AIE (Associazione Italiana Editori) che mostra di saper tenere duro.  Nell'ambito della sinistra più indipendente e meno ottusa, sono da segnalare Massimo Cacciari e Giordano Bruno Guerri, secondo i quali le idee difformi non possono e non devono essere combattute a colpi di censura e di ostracismi.
Esiste o no, un libero mercato con tanto di libera scelta di quei prodotti editoriali detti libri?  O dobbiamo sorbirci per altri ottant'anni  il "mercato unico" di un'editoria "organica" al Partito sul tipo di Editori Riuniti e Edizioni Rinascita, di comunista memoria? Poi c'era (e c'è ancora) Feltrinelli, Samonà e Savelli che era trotzkista, e tanti altri editori piccoli e medi,  noti e meno noti, ma muniti di lasciapassare rigorosamente rosso. Insomma, il ragionamento delle 80 teste pensanti è questo: la cultura e l'editoria è, e deve rimanere, "cosa nostra". Un ragionamento che sa tanto di "cosca".

San Giulio