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07 January 2010

Vestiti di petrolio

In questi giorni di grande freddo mi ha colpito l'uniformità del vestiario per uomini e donne, giovani e vecchi, italiani e stranieri: la plastica, i tessuti plastificati o comunque le fibre sintetiche. Magari imbottiti, ma pur sempre plastificati. Come mi ha colpito anche il colore: nero e grigio. Non ho  nulla contro il nero che è colore elegante, specie negli abiti da sera o negli smoking. Ma come mai, si vedono in giro giubbotti e giacconi sempre e solo neri, con sciarpe nere, berretti neri o al massimo grigi? E  perché mai ci si rassegna a sembrare uniformemente stormi di corvi del malaugurio? E a parte il colore, dove sono finite le fibre che si ricavavano dalla natura? Dalle pecore si ricavava la lana,  dai bachi, la seta; il lino e il cotone sono fibre tessili vegetali. Non ci sono più pecore? Non ci sono più fibre vegetali e campi per coltivarle? E' mai possibile che l'uomo abbia ridotto così ai minimi termini le risorse della natura e che imponga un vestiario globalizzato al petrolio, tenuto conto che se si va in viaggio per altri stati lo si vede vestito in questo stesso identico modo? Dove sono più i paletot di lana, o  i mitici loden o gli impermaeabili di gabardine? e dove finite sono le giacche di tweed o di Principe di Galles?
Da un po' di anni a questa  parte, la gente sembra vestita coi sacchetti condominiali della spazzatura (ancorché imbottiti) e viene il sospetto che abbiano degli stock di prodotti petroliferi da smaltire in giro per il mondo. Conosco già l'obiezione: sono pratici, non sono sporchevoli  (si lavano una volta all'anno) e non si spiegazzano.
Eppure, sarebbe sufficiente  pensare all'imposizione dei marchi di fabbrica di questi giacconi che  costringono le persone a diventare passivi strumenti, sponsor e addirittura uomini-sandwich di queste ditte, per cambiare vestiario. Alcuni di questi articoli portano una scritta a caratteri cubitali assai cafonescamente esibita  proprio sul petto del giaccone. Della serie, io promuovo questa ditta di abbigliamento.
Poi magari  in luoghi pubblici o in passeggiate al mare, dove tutti si ritrovano  vestiti allo stesso modo, calzati allo stesso modo, i "consumatori" di plastica, parlano moldavo, croato, ucraino, albanese, romeno, giapponese, cinese ecc.
"Noi siamo ciò che mangiamo" diceva il filosofo tedesco Feuerbach. Se fosse vivo sarebbe costretto ad aggiungere  "...e come ci vestiamo". Forse siamo vicini al modello metropolitano universale di "uomo a taglia unica".
A soffrire di questo saremo soprattutto noi Italiani che abbiamo esportato il buon gusto e l'eleganza in giro per il mondo, ricevendone in cambio paccottiglia di dozzina. E' ora di cambiare indirizzo.

17 comments:

Josh said...

il nero l'ho sempre stra-usato :)) ma ho sempre detestato i piumini! Questi petroliferi poi bah.
W la lana....
Questi qui sono scorte di magazzino di sostanze plastiche senz'altro.
E l'omologazione poi, l'altro fenomeno deprecabile: tutti uguali, per far tabula rasa di tutte le anime, per il tronfio trionfo del 'commercio' sicuramente è la mira principale di oggi. Che robacce.
Non ti dico poi aver le scritte indosso dappertutto.
Cose adatte solo per chi è senza personalità: appunto, ci sono riusciti allora....

Massimo said...

Sotoscrivo. Poi quegli informi fagottoni di plastica sono troppo mascolini per una donna e troppo effemminati per un uomo. Sono convinto che quella sia una moda che passerà presto, perchè è troppo brutta per durare ... :-)

Nessie said...

Benritrovato Josh. Dunque pensi anche tu che sia stockaggio di materie plastiche da esportare in giro per il mondo, trasformandola in capi-fagotto. Basterebbe una bella crisi petrolifera e poi vedrai che saremmo costretti di nuovo a tosare pecore e a vestirci in conformità con la natura. Guadagnandoci in salute, visto che sotto la plastica la pelle non respira.

Nessie said...

Massimo, sembrano tutti quanti dei palombari in libera uscita. Un tempo era il logo della Michelin. Te lo ricordi l'omino di gomma?
Beh, ora ci si veste come la pubblicità dei pneumatici. Per non dire poi delle scarpe, plastificate pure quelle e con la chiusura in velcro. Ma come la smaltiremo tutta questa plastica quando sarà fuori uso?

Anonymous said...

Cara Nessie, credo che tu sia stata profeta, circa la crisi petrolifera. Occhio al prezzo del greggio: stamane eravamo a 82 dollari e spicci, e siamo solo all'inizio... Paola.

angelo d'amore said...

d'accordissimo.
forse pero', non hai scelto l'immagine adatta. i piumini della moncler, sono fatti con vere piume d'oca.
i poveri pennuti, soffrono le pene dell'infernmo per imbottire con le loro penne i famosi giubbini.
http://psicke.blogspot.com/2009/01/il-piumino-doca.html

Josh said...

Sissì: avanzi di plastica.
E con quell'affare addosso proprio come dici si assomiglia all'omino Michelin.
Tanto più che quella Moncler lì era quella ditta orrenda dei piumini Moncler appunto dei "paninari" anni 80 con in testa il mito delle Timberland e i panini del McDonald.
Come sai, io "appartenevo" e in fondo tuttora appartengo a tutt'altra stilistica (e contenutistica pure) ahaha :)

Nessie said...

Ho letto, Paola. Ma soprattutto ho visto i distributori di benzina e altri combustibili appena dopo Capodanno :-(.

Angelo, la Moncler strozza oche per poi ricoprire le loro penne in plastica. E l'ho messa in evidenza a causa della scritta cafonissima bene in vista.

Nessie said...

Sì, Josh meno male che ci sono ancora persone come te che remano contro. Nei fatti e non a parole.
Saranno "trendy" i piumini ma poi come diceva quel Tale ( o quella Tale), essere di moda è già fuori moda.

Anonymous said...

E fosse solo il prezzo della benzina, Nessie. Il nostro mondo si basa tutto sul petrolio: trasporti terrestri, navali, aerei, industria farmaceutica, chimica, tessile, materie plastiche e, soprattutto agricoltura (carburanti per macchine agricole, fertilizzanti, antiparassitari e ancora trasporto derrate alimentari). Siamo messi veramente male ma, per qualcuno il problema più importante è dare cittadinanza e voto agli immigrati. :-( Paola.

johnny doe said...

Omologazione di piume,jeans,plastic bombers e di cervelli.Vengono notati da altri e subito imitati.Tutti uguali,couture da metrò,da marciapiede,passano come nuvole,nessuna madeleine vorrà mai rivivere l'immondizia alla moda.Specchio di tempi delle scorie,di una alcolizzata Bowery mattutina sotto the black rain.Lord Brummel esce corrucciato dal sepolcro. Eleganza non significa essere notati, ma essere ricordati.

Nessie said...

Sì Paola e il riscaldamento con gli inverni sempre più lunghi e freddi dove lo mettiamo? Senza contare che in caso di crisi petrofilera il problema dello smaltimento rifiuti potrebbe diventare un'emergenza devastante.
Speriamo con l'anno nuovo che Fini e i suoi se ne vadano fuori dalle palle. Almeno potremmo limitarci a risolvere i nostri problemi senza importarne dei nuovi, come la "cittadinanza" che citi.

Nessie said...

Soprattutto, significa girare col marchio di fabbrica bene in vista Johnny. E in particolare, pagare fior di quattrini il capo in oggetto, per fare la pubblicità, in luogo di venir pagati come "testimonial".

Giano said...

Mi fa piacere leggere questo post. Ho sempre odiato la plastica e, soprattutto, l'abbigliamento plastificato. Nonché quelli che vanno in giro, anche al lavoro, in tute sportive, come se andassero in palestra. Punti di vista. Non ho mai indossato niente del genere e non lo farò mai. Amo ancora lana e cotone. Sarò all'antica? Sì, e ne sono orgoglioso. Può sembrare strano ed eccessivo, ma anche questa omologazione di indumenti plastificati è riconducibile ad una questione di senso estetico, ovvero di "bellezza". Appunto. Ciao Nessie, buon anno...:)

Nessie said...

Buona apertura d'anno a te, Giano. Ho appena notato tornando adesso dal supermercato che c'erano dei neri vestiti di plastica nera, con scarpe da trekking. In testa un berretto da giocatore di base ball. Cioè in divisa globale.
Oltretutto queste brutture le esportano in larga scala per il mondo e sono interetniche, interclassiste, intergenerazionali. Che tristezza: tutti felicemente omologati a partire da come mangiamo, ci vestiamo e viaggiamo.

Anonymous said...

Cara Nessie, a proposito di capi di abbigliamento, hai notato che il Cavaliere, in tutte le sue uscite post attentato, anche ieri a Roma, ha indossato il giubbotto della marina militare russa, con lo stemma dell'aquila bicipite sul cuore? Io ci vedo un sottile messaggio subliminale alle manine di oltreoceano... E infatti, qualche gallina spennata ha trovato da ridire anche su questo, tipo quelli dell'associazione "Annavera". Che dici, come al solito sono troppo dietrologa? :-) Paola.

Nessie said...

Sì, ci ho pensato anch'io ;-). Dicono già che sia un suo talismano.